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giovedì 6 novembre 2008

Il ministero dell'interno costringe Medici Senza Frontiere a lasciare Lampedusa

Avete presente quei luoghi del Pianeta, dove alle organizzazioni umanitarie è impedito di fatto di lavorare? Sapete di quei territori, dove quelle organizzazioni tentano di garantire un minimo di dignità umana a poveri disperati, ma i governi mettono loro il bastone tra le ruote? Immaginate quei luoghi dove un governo dice di non avere bisogno di certe organizzazioni, fatte di persone che gratuitamente prestano un indispensabile servizio? Non c'è bisogno che vi sforziate con la memoria o l'immaginazione. Uno di quei posti è qui. In Italia. Nel nostro meridione. Uno di quei posti è Lampedusa.
Il Ministero dell'Interno, infatti, si è rifiutato di firmare un nuovo protocollo d'intesa con Medici Senza Frontiere e di rilasciare, alla stessa organizzazione umanitaria, le autorizzazioni necessarie ad operare a Lampedusa.

Per quanto il governo si sforzi di mostrarsi cattivo e per quanti accordi faccia con la Libia, gli sbarchi di migranti sulle nostre coste continuano. Evidentemente la fame e le guerre, rimangono buoni motivi per fuggire da un territorio. Sembra ovvio, ma provatelo a spiegare a Maroni.
Nel corso dei primi nove mesi del 2008, gli sbarchi sono stati 23mila. Solo a Lampedusa, Linosa e Lampione ce ne sono stati 325. E qui Medici Senza Frontiere, tra gennaio e ottobre di quest'anno, ha prestato le proprie cure a quasi 1500 migranti. Dal 2005 ad oggi, sono stati visitati a Lampedusa oltre 4500 persone che sbarcavano dopo lunghe traversate in mare, in condizioni al limite della sopravvivenza. In un territorio che non sarebbe in grado, con le sole strutture sanitarie regionali e per il numero di prestazioni da eseguire, di prestare un servizio adeguato di assistenza medica.
La considerazione che questo governo xenofobo ha della tutela della dignità umana, è tanto bassa che con questa decisione negherà di fatto cure adeguate a centinaia di persone in fuga da guerre e miseria, che sbarcano in Italia dopo viaggi in condizioni disumane. Tanto più che c'è da aspettarsi che molti migranti rifiuteranno le cure, se dovesse passare l'emendamento leghista al DdL 733 (pensato apposta per i migranti), che nega nei fatti l'universalità del diritto alla salute.

Ma di questo il ministero dell'Interno se ne sbatte. Come se ne sbattuto lo stesso ministero nel 2004. Quando il predecessore di Maroni, Scajola negò anche allora a MSF di proseguire con la propria attività umanitaria, dopo che la stessa organizzazione aveva pubblicato un rapporto sulle condizioni sanitarie dei migranti detenuti nei CPT. Era un rapporto scomodo.
Come è scomoda, per i piani del governo, l'opera di MSF, visto che tenta di riportare un minimo di umanità, laddove la xenofobia governativa si accanisce sulla dignità umana delle persone più deboli.

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martedì 21 ottobre 2008

Virus e batteri non hanno nazionalità. Ma i senatori leghisti non lo sanno

Se un limite alla decenza esiste, non è di casa in questa legislatura. In particolare non abita nelle stanze della Lega Nord. Forse in molti lo supponevano già, ma in questi giorni alcuni parlamentari leghisti (Bricolo, Mauro, Bodega, Mazzatorta, Vallardi) hanno voluto darne ulteriore dimostrazione.
In questi giorni, infatti, è in discussione in Senato il Disegno di Legge 733, nell'ambito del cosiddetto "pacchetto sicurezza". Una denuncia di Medici Senza Frontiere fa sapere che i senatori leghisti hanno presentato un emendamento, che richiede la soppressione del comma 5 dell'art.35 del Decreto legislativo 286/1998 (Testo unico sull'immigrazione), il quale prevede che «l'accesso alle strutture sanitarie (sia ospedaliere, sia territoriali) da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano».

Il principio di quel comma è evidente: garantire il diritto alla salute, attraverso l'accesso alle prestazioni sanitarie. Garantire quel diritto a chiunque, perchè quello alla salute è uno tra i diritti fondamentali della persona, che ingloba in sè il diritto ad una vita dignitosa.
Se quell'emendamento passasse e quindi ad ogni prestazione sanitaria usufruita da un straniero non in regola, si rendesse obbligatoria la segnalazione all'autorità, i migranti irregolari sarebbero scoraggiati dal richiedere le prestazioni sanitarie necessarie a tutelare la loro salute. Sarebbe di fatto una condanna all'agonia, per persone in carne ed ossa che la sorte ha già condannato ad una condizione sociale precaria. Una condizione sociale che verrebbe aggravata dalla stupidità xenofoba della Lega Nord.
Ecco, appunto, di cosa è figlio qeull'emendamendo leghista: di una profonda stupidità, che appare essere anche consequenziale alla bramosia di dargli all'immigrato. Una stupidità che si traduce, nelle stanze parlamentari, in smania leghista (ma non sempre, solo leghista) di dispensare provvedimenti per calmare la sete xenofoba dei suoi elettori.

Solo così si può motivare un emendamento che non limiterà lo sbarco di clandestini sulle coste italiane, che non ridurrà la presenza di migranti in Italia, che non migliorerà le condizioni economiche o sociali degli italiani. Insomma un provvedimento che servirebbe solo a produrre consensi sulla pelle di persone bisognose.
Ma tanta è la stupidità, tanta la bramosia xenofoba, che i senatori leghisti, nell'emendare il DDL 733, non si sono accorti di quali effetti dannosi quella loro proposta potrà avere su qualsiasi persona che calpesti il territorio italiano. Non si sono posti il problema, gli ingenui senatori leghisti, che impedire di fatto le cure agli immigrati irregolari, vuol dire anche impedire la prevenzione di malattie trasmissibili e di epidemie.

Forse i parlamentari leghisti, abituati come sono ad alzare barriere, non si sono resi conto che virus e batteri per spostarsi non hanno bisogno di permessi di soggiorno regolari, nè stanno a guardare la nazionalità del corpo ospitante. Germi, batteri e virus, sono molto più democratici dei leghisti. E qualche volta meno devastanti.

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lunedì 28 luglio 2008

Stato di emergenza nazionale. Necessario alla sopravvivenza di questa politica.

Nei giorni scorsi ascoltavo in TV (mi pare fosse il TG2) un servizio sui giovani sindaci italiani. Tutti nati negli anni '70. Il più giovane di tutti, se non ricordo male, dovrebbe essere il sindaco del Comune di Civitella Messer Raimondo, un piccolo paese di poco meno di mille anime. Mi è rimasto impresso questo paesino tra tutti per due motivi: uno per il fatto che il più giovane sindaco d'Italia amministra un paese non lontano da dove risiedo. Il secondo e più importante, per una risposta data ad una domanda del cronista. Alla domanda su cosa la sua amministrazione offrisse ai cittadini, la risposta è stata, tra le altre cose: sicurezza.
Capito? Sicurezza. Da cosa e da chi, in un paese di meno di mille abitanti? Provo ad azzardare un'ipotesi, senza conoscere la realtà di cui parlo: da niente o da così poco, che la sicurezza dovrebbe fare ridere quale impegno amministrativo.

Ora, non è il caso specifico che mi interessa. Quello che mi ha dato da pensare, è come la parola sicurezza faccia ormai parte del vocabolario di ogni amministratore, di quasi ogni colore politico, di qualunque governo nazionale o locale italiano.
A pensarci, quella parolina così facilemente spendibile al mercato elettorale, non ha molto significato, per la sua assoluta genericità. Solo che (è questa la mia riflessione principale) i pensieri di chi quella parola l'ascolta, vanno sempre e solo nella stessa direzione: sicurezza come tutela dagli altri, intesi come diversi per il colore della pelle, della lingua, per come si vestono, o per quello che vi pare.
Di volta in volta viene reinsegnato di cosa avere paura, da chi arriva il pericolo e perciò da chi occorre proteggersi. Da chi, insomma, offrire sicurezza.
Tutto al di là di ogni dato oggettivo, prescindendo la minima volontà di conoscenza dell'altra cultura, ed al di là di ogni principio di accoglienza e di integrazione. E' la versione politically correct del linguaggio di Borghezio. E' la xenofobia che entra in politica ed investe la società.

Il terreno è stato così ben preparato che il governo si può permettere in questi giorni di proclamare lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale, per un presunto eccezionale afflusso di cittadini extracomunitari. Anche in questo caso, fuori dalla logica che sarebbe imposta da una leale lettura dei dati, che dicono di una situazione invariata del flusso migratorio verso l'Italia. Ma soprattutto, dicono quei dati, che la maggior parte degli ingressi avvengono non certo su carrette del mare, ma ad esempio attraverso regolari permessi turistici e con ben altri e più abituali mezzi di trasporto. Nè viene detto che moltissimi dei migranti in arrivo in Italia, sono richiedenti asilo politico e che perciò dovrebbe essere tutelato questo loro diritto.
Sono cose che non possono essere dette da questa politica, che per vivere si nutre delle paure costruite della gente. Se così non fosse, questa politica autoritaria e xenofoba sarebbe costretta a dare piena legittimità alle rivendicazioni di un salario adeguato a condurre una vita dignitosa; dovrebbe dare risposte all'insicurezza sociale causata dalla precarietà lavorativa e di vita; si troverebbe a dover garantire i servizi essenziali ed i diritti individuali e civili fondamentali. Dovrebbe, in quel caso, disconoscersi, lasciarsi morire.

Ed allora, tanto vale creare l'emergenza nazionale. Così da tenerci occupati a dargli all'immigrato. Se tanto poi diversi problemi rimanessero irrisolti, se altri dovessero crescere, se le tensioni inevitabilmente dovessero alzarsi, c'è sempre pronta una nuova emergenza nazionale da sbattere in prima pagina e qualche vecchio o nuovo capro espiatorio da gettare nell'arena.

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martedì 22 luglio 2008

Sono contrario alle impronte digitali. Ma non firmo quella petizione

Ho già scritto in merito alle impronte digitali che questo governo autoritario vorrebbe obbligarci a mettere sulle carte d'identità a partire dal 2010. Una schedatura di massa, che non si vedeva dai tempi del fascismo (corsi e ricorsi storici?). Avevo già descritto la mia contrarietà per quanto rigurda la schedatura dei rom. Una chiara operazione di discriminazione su base etnica.
La schedatura di massa a partire dal 2010, oltre a prefigurare una società di controllo poliziesco, è servita a mascherare le intenzioni xenofobe che stavano dietro il "censimento" del ministro Maroni.

In uno di questi post, c'è stato un commento che invitava a firmare una petizione contro le impronte digitali. L'appello ha un titolo che sarebbe inequivocabile: "No alle impronte nella carta d'identità!". La petizione ha già raggiunto un discreto numero di adesioni, considerando la diffusione che mi pare limitata nei mezzi ed alla poca popolarità dell'estensore che non ho ben capito chi sia. Tra queste firme, manca e mancherà la mia, perchè per firmare un'appello, occorre una piena condivisione del suo contenuto.
Certo non ho la presunzione per credere che la mia adesione possa dare valore alla petizione. Nemmeno credo nell'efficacia di un appello lanciato nel web, come si lancerebbe un bottiglia con messaggio in un oceano sperando in un salvataggio, peraltro difficile non essendoci alcuna firma.
Comunque l'appello mi ha colpito perchè all'apparenza condivisibile, mantiene in realtà uno sfondo discriminatorio inacettabile e che credo sia purtroppo pericolosamente diffuso.

Entrando nel merito. Nell'appello si teme il pericolo di introdurre, prendendo le impronte digitali a tutti a partire dal 2010, una schedatura preventiva, come se ognuno di noi fosse considerato un potenziale criminale. Mi pare condivisibile e mi trova d'accordo. Io stesso considero l’operazione di schedatura delle impronte digitali un pericoloso sistema di controllo dei cittadini, che in misura sempre maggiore limita le libertà individuali.
E allora, dovrei firmare? No. Perchè il promotore della petizione fa esplicita distinzione tra un "noi" riferito agli italiani ed i rom (ignorando tra l'altro la nazionalità italiana di moltissimi rom). Si legge nell'appello: "ero a sfavore delle impronte ai rom, non per i motivi retorici della sinistra ma perché ero consapevole che quello era il primo passo PER SCHEDARE NOI." (in maiuscolo anche nel testo originale).
Si capisce quindi che nell'appello si fa ancora una volta una distinzione su base etnica. Ho interpretato quella frase (se mi sbaglio, per favore correggetemi) come se dicesse: "non ci fosse stato alcun pericolo di schedatura oltre i rom, me ne sarei sbattuto altamente".

Ritengo invece che la misura dell'indignazione, non può e non deve essede differenziata in base alle diversità, qualunque esse siano. Dobbiamo avere capacità di reagire agli attacchi alle libertà individuali ed alla dignità umana, allo stesso modo, per ogni individuo in qualunque momento.
Dobbiamo avere la capacità di considerare la dignità umana non differenziabile in base alle diversità, qualunque esse siano. Il rischio è che un giorno, quando lo schiaffo della discriminazione toccherà a noi subirlo, chiunque noi siamo, saremo soli a difenderci e certamente usciremo sconfitti.

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lunedì 21 luglio 2008

Michele Fabiani esce dal carcere. Ma continua la battaglia per la verità e la libertà

Michele Fabiani è un giovane anarchico di Spoleto. Fu arrestato il 23 ottobre 2007 insieme a quattro suoi amici: Andrea Di Nucci, Dario Polinori, Damiano Corrias e Fabrizio Reali Roscini; nell'ambito della cosidetta "Operazione Brushwood" con l'accusa di far farte di una cellula anarco-insurrezionalista denominata COOP-FAI.
Dal blog Liberate Michele Fabiani sono felice di apprendere che a Michele sono stati almeno concessi i domiciliari, dopo aver passato quasi 9 mesi in carcere, 100 giorni di isolamento a Perugia e la detenzione in EIV a Sulmona.
E' stato fatto un importante passo avanti. Almeno gli occhi di Michele potranno ora osservare oltre le grigia mura di un carcere. Non significa però che la repressione ai suoi danni sia conclusa, perchè di fatto la verità non è ancora venuta a galla e di fatto non gli è stata ancora restituita la libertà.

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venerdì 27 giugno 2008

Caro bambino rom, non è colpa tua ... ma della figa che ti ha partorito!

E va bè dai, è già successo, sarai abituato. Di che ti scandalizzi? Di cosa ti preoccupi? E' una storia vecchia di almeno 60 anni, la schedatura dei rom come te. Ehm ... scusa, ho detto schedatura? No, no ... mi sono confuso. La schedatura è una pratica fascista, nazista. Oggi, a 60 anni di distanza dalle leggi razziali, quelle che marchiavano ebrei e rom perchè di razza inferiore, oggi dicevo non si può più parlare di schedatura. Oggi prendere le impronte digitali ai bambini rom, si chiama censimento.
Anche se il censimento, quello ufficiale, quello che con cadenza decennale viene effettuato dall'ISTAT, non prevede di prendere le impronte digitali. Ma tu sei rom e perciò nella testa malata di qualche ministro di questa nostra Repubblica morente, sei un delinquente. Anche da bambino, anche senza avere commesso reato.
In questa nostra morente Repubblica, non importa se un reato lo hai commesso o meno. Tutto dipende dalla vagina che ti ha partorito: se è stata una figa di etnia rom a metterti al mondo, sei considerato tendenzialmente persona predisposta a delinquere. Se così fosse ed ancora non hai commesso un furto, un rapimento, un stupro, certamente lo farai, ti dicono. Ed intanto che non sarai in età per commettere reato, è dato per certo che tuo padre ti costringerà all'accattonaggio e ti maltratterà.
E allora, visto che dicono che così è e visto che dall'altra parte c'è chi ciecamente ed ingenuamente continua a credere a queste stronzate, tanto vale agire preventivamente.
Oggi tocca a te, bambino rom, domani potresti essere in buona compagnia di un tunisino, di un albanese, di un cingalese. Ma non è dato sapere con esattezza quale lingua parlerà il tuo compagno, censito da uno Stato italiano militarizzato. Dipende. Oggi non so dirti su chi si riverserà in futuro questa perversa follia razzista.
Dipende dal mercato della paura, che vende al prezzo di qualche consenso i suoi prodotti, pubblicizzati negli spot elettorali.
Solo di una cosa posso essere certo: in nessuna caserma di carabinieri, e in nessuna questura troverai la compagnia di un bambino venuto alla luce da una passerina italiana, soprattutto se ricca, men che mai se del Nord, assolutamente impossibile se leghista e un po' fascista!

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giovedì 19 giugno 2008

Se nel Parlamento europeo sedessero dei bonobo, non sarebbe passata la "direttiva della vergogna"

Nella mattinata di ieri il Parlamento Europeo ha approvato la "direttiva della vergogna", con la quale l'Unione Europea inasprisce le attività di contrasto delle migrazioni irregolari e si chiude in se stessa.
Da ieri i migranti irregolari potranno essere rinchiusi in centri di detenzione per 18 mesi, per aver commesso un'irregolarità amministrativa. I migranti colti nell'irregolarità, non potranno godere delle stesse regole processuali stabilite per chiunque altro. Nemmeno i bambini sono risparmiati da questa violenta direttiva, prevedendo l’espulsione ed il trattenimento dei minori non accompagnati, nonostante questo trattamento violi le convenzioni internazionali che proteggono i diritti dei minori.
E non è finita. Si stabilisce la possibilità di deportare migranti irregolari nei paesi di transito. Per "contropartita", a quei paesi, dove spesso le convenzioni sui diritti umani non sono mai state ratificate (vedi la Libia, paese di transito per l'Italia), l’Unione Europea corrisponderà ingenti somme. Un vero e proprio mercato di esseri umani.
Di fatto viene respinta la possibilità di pensare un'Europa di accolgienza e di tutela dei diritti umani. Un'Europa che si risveglia intollerante verso le povertà che contribuisce a generare. Si prefigura un'Europa chiusa in se stessa, un continente che si fa fortezza e che non permette la socializzazione, lo scambio culturale. Un'Europa egoista ed arrogante.
D'altronde la deriva intollerante ed autoritaria dell'Europa era in corso da tempo. Da tempo si andava costruendo l'idea del nemico interno, fatto coincidere con l'immigrato. Quello che occuperebbe un posto di lavoro, altrimenti svolto da un disoccupato francese; lo stesso che ruberebbe la macchina di un tedesco; quello che violenterebbe una donna italiana; a prescindere, perchè immigrato.
Questa direttiva non fa altro che dichiarare ufficialmente nemico lo straniero. Si sancisce l'avversione ad una convivenza pacifica tra migranti e nativi. Si decreta con questa direttiva, il definitivo abbandono della speranza di un'Europa garante dei diritti umani.
Da oggi è ufficiale: le ricchezze europee non possono essere condivise; non è assolutamente possibile mangiare nello stesso ricco piatto.
Ed ora mi tornano in mente i bonobo e la loro organizzazione sociale. Chi sono i bonobo? Sono scimmie, altrimenti chiamate scimpanzé pigmee o scimpanzé nane. La differenza tra il patrimonio genetico di questi animali e quello dell'uomo ammonterebbe al 1,6%. Una differenza molto lieve, ma che ha permesso ai bonobo un'organizzazione sociale basata sulla conciliazione anzichè sulla dominazione. Tra i bonobo la convivenza è pacifica ed esiste una cultura di collaborazione e di condivisione delle risorse. Se due gruppi diversi di bonobo si incontrano nella foresta, condividono il cibo, invece di combattersi.
Avessimo avuto quell'1,6% di genomi che ci differenzia dai bonobo, in questo momento staremmo amoreggiando. E invece continuiamo a mordere il culo a chi fugge da guerre e miserie.

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martedì 10 giugno 2008

Quanto vale la vità di una persona?

Quanto vale la vita di una persona? Una domanda che può apparire assolutamente banale, ma non lo è. Dipende dal contesto nel quale la domanda viene rivolta; dipende dalla persona a cui viene posta; dipende dalla vita di quale persona si sta parlando.
Ad esempio, nella clinica privata milanese Santa Rita, la vita di una persona malata, secondo qualche medico specialista, poteva valere, a seconda dei casi, anche poco meno di 30.000 euro.
Nella Clinica Santa Rita, ormai definita "Clinica degli orrori", stando alle accuse delle pm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano, sarebbero stati eseguiti interventi chirurgici ritenuti «dannosi, inutili, crudeli, avventati, inspiegabili nei confronti di ignari pazienti», allo scopo di ricevere sostanziosi rimborsi dal SSN e per i medici coinvolti, per vedere lievitare i propri compensi anche a 28.000 euro al mese.
Questa sfrenata avidità di diversi medici della clinica privata milanese, avrebbe addirittura portato alla morte di 5 persone, pazienti ignari del fatto che quella che appariva una eccellente clinica privata accreditata, era in realtà una macchina per fare soldi, speculando sulla salute delle persone.
Ovvi i commenti di tanti sfegatati sostenitori della sanità privata: "si tratta di un caso su tanti"; "non si possono condannare tutte le cliniche private, per un singolo caso"; e via discorrendo. Ovvi commenti, ovviamente e banalmente condivisibili.
Ma non credo che il succo del ragionamento sia il numero di casi di malasanità privata (anche se qui si tratta di vera e propria criminalità). La riflessione credo debba concentrarsi sulla possibilità di ogni singola persona, di vedersi garantito il proprio diritto alla salute. E la domanda che mi pongo è: davvero si può essere garantiti del proprio diritto alla salute, aziendalizzando il SSN? La risposta che mi sono dato è che no, non è possibile.
Non è una risposta ideologica. Ritengo che il diritto alla salute di ogni essere umano, che sia indipendente dallo stato sociale, dal sesso, dal colore della pelle, dalla religione o appartenenza politica, è in contrasto con i criteri di efficienza economica e di ricerca del profitto, propri di una qualunque azienda, anche fosse del settore sanitario.
La salute è un bisogno essenziale dell'essere umano, che per essere garantito deve essere necessariamente supportato da un ordine sociale, che si basi anche sul concetto di solidarietà e di rispetto della persona in ogni caso. E non mi pare che la religione del libero mercato, che prevede la venerazione del dio denaro, riconosca tra i valori irrinuciabili, quello della solidarietà e del rispetto della dignità umana.

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mercoledì 28 maggio 2008

Rapporto Amnesty International 2008. Sapremo vergognarci almeno un po'?

Chissà se sapremo almeno esprimere ancora un sentimento di sincera vergona! Amnesty International, nel suo rapporto annuale sui diritti umani per il 2008, ha molto di cui trattare sull'Italia.
Anche scorrendo velocemente il rapporto, pure solo leggendo i titoli delle sezioni del rapporto, si nota come il nostro paese non voglia proprio farsi mancare niente: tortura, maltrattamenti e responsabilità delle forze di polizia; le scelte dell'Italia nella "guerra al terrore"; la discriminazione, la xenofobia riversata su rom e migranti; i provvedimenti sulla "sicurezza"; l'assenza dei diritti dei rifugiati e dei minori migranti; il commercio di armi ed i bambini soldato. In ognuno di quegli aspetti, l'Italia si è resa protagonista in negativo.

Solo pochi mesi fa, l'Italia mostrava il suo volto umano, orgogliosa di essere stata tra le promotrici della moratoria mondiale della pena di morte. Ora, Amnesty International strappa la maschera al nostro paese, e mette in mostra il volto più brutale dell'Italia: quello stesso volto che viene mostrato ai migranti, ai rom, ai diversi, ai più deboli.
Un volto che quasi tutta la politica nostrana aveva mostrato già durante l'ultima campagna elettorale (come ricorda anche Amnesty International), durante la quale i principali candidati facevano a gara a chi riusciva a fare più paura. I cui risultati sono sotto gli occhi di tutti e visibili sui corpi dei migranti, colpevoli di sfuggire a condizioni di fame, miseria, guerra, persecuzioni: un pacchetto di sicurezza fortemente xenofobo varato da un governo simil-fascista, mentre l'opposizione quasi ne rivendica la paternità.

Ora che Amnesty International, con le parole della direttrice dell'ufficio campagne e ricerca Daniela Carboni, si dice preoccupata per il clima da caccia alle streghe contro i diversi che si respira in Italia, sapremo almeno vergognarci un po'?
Mi auguro che sapremo almeno arrossire, sapendo che a sessant'anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, siamo uno tra i paesi dove la tortura è ancora diffusa.
Vorrei che almeno provassimo un po' di imbarazzo a "scoprirci" di appartenere ad una società razzista, pericolosamente xenofoba, intollerante nei confronti di qualunque diversità.
E chissà se finalmente riusciremo a leggere l'ingiustizia che sta dietro l'essere parte di una società che stà dentro quel 10% di popolazione mondiale, che divora il 90% delle risorse del pianeta, costringe popoli interi ad emigrare, e poi li bastona perchè per decreto le vittime di un sistema politico-economico assassino sono state trasformate in criminali.

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venerdì 16 maggio 2008

Non vogliamo l'integrazione, ma l'assorbimento dell'altro

«Questi extracomunitari vengono qui, ma non si vogliono integrare». Quante volte ho sentito pronunciare questa frase. Altrettante mi sono chiesto cosa intendesse dire, con quella frase, chi la pronuncia. Ed in particolare, mi sono ogni volta chiesto quale significato si volesse dare alla parola integrazione.
Wikipedia dice che:

"Il termine integrazione indica l'insieme di processi sociali e culturali che rendono l'individuo membro di una società."

Ora, se il significato del termine "integrazione" è quello detto sopra (e lo è), devo dedurre che quando lo stesso termine viene utilizzato, spesso gli si dà un significato diverso. In molti casi, "integrare" è utilizzato per significare "assorbire".
Quando sento una persona che si lamenta, perchè ad una comunità musulmana viene concesso uno spazio dove poter pregare, non credo di poter cogliere una volontà di integrazione, da parte di chi si lamenta. Allo stesso modo, pure sforzandomi, non riesco a riconoscere una volontà di confronto con l'altro, se noto che una piazza si svuota perchè frequentata da extracomunitari.
Se per essere accettato, un extracomunitario, un musulmano, un rom, una persona in genere con una cultura diversa, deve svuotarsi del suo essere per diventare quello che noi siamo, è chiaro che non c'è "integrazione", ma "assorbimento".
In casi se possibile peggiori, cioè quando si accetta che quelle stesse persone, facciano lavori quanto più umili e disprezzati dalla nostra cultura e nelle forme del peggiore sfruttamento del lavoro, e poi si protesta per la loro presenza, non si può usare il termine "integrazione". Si dovrebbe parlare di "consumo" di quelle persone, come forza lavoro da sfruttare. Braccia da "consumare" che quando diventano inutilizzabili, bisogna avere la possibilità di rispedire nelle discariche umane.
L'integrazione è ben altra cosa: è un rapporto tra diverse culture, che prevede anche la possibilità, consapevole ed accettata di modificare i propri usi e costumi, i propri valori e le proprie tradizioni. Una modificazione che significa arricchimento anche attraverso lo scambio delle esperienze e delle conoscenze.
D'altronde è proprio attraverso il mutamento e l'adattamento a nuove e diverse condizioni di vita, che le civiltà si sono evolute. Ma mi rendo conto sempre più, che quella che stiamo vivendo è una fase di forte regressione.

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martedì 22 aprile 2008

Schiavi del lavoro per i marchi olimpici. Rapporto Play Fair 2008

Si stima che marchi come Nike, Adidas e Puma, incrementeranno i propri profitti di almeno il 50% nel corso dei prossimi giochi olimpici di Pechino. Non per meriti dei loro "illuminati" manager, ma per le condizioni di estremo sfruttamento in cui costringono i loro 800mila dipendenti nei paesi in via di sviluppo. Operai costretti a cucire palloni, incollare scarpe, tagliare stoffe, anche per dodici ore al giorno e guadagnare giornalmente solo 50 centesimi di dollaro.

Sono alcuni dei dati che emergono dal rapporto Play Fair 2008, tradotto per l’edizione italiana dalla Campagna Abiti Puliti.
Una realtà che emersa anche grazie alle centinaia di testimonianze dirette dei lavoratori, che raccontano la loro schiavitù ed i disumani ritmi di produzione. Uno schiavo della New Balance in Cina racconta come «Sono stanco da morire adesso… In due dobbiamo incollare 120 paia di scarpe all’ora… Nessuno di noi ha tempo di andare in bagno o bere un bicchier d’acqua. Ciononostante stiamo lavorando senza riposo e abbiamo sempre paura di non lavorare abbastanza in fretta per fornire le suole alla linea successiva…. Siamo stanchi e sporchi».
Condizioni accettate senza poter fiatare, per non rischiare di perdere l'unica fonte che permetta loro di sopravvivere. Una sopravvivenza in condizione di vera e propria schiavitù, che costringe quei lavoratori a vivere e dormire a centinaia nello stesso posto di lavoro, in condizioni ambientali precarie, costretti a subire le vessazioni dei propri superiori. In quei posti, diritti e rappresentaze sindacali sono meno di un lontano miraggio ed i contratti di lavoro una vera e propria chimera.
E' da queste condizioni che aziende come Nike, Adidas, Puma, Asics traggono i loro profitti, in un rapporto direttamente proporzionale ai livelli di sfruttamento a cui costringono i loro lavoratori.
Queste multinazionali, che sfoggeranno i loro loghi durante la rassegna olimpica, si maschereranno da portatori del sano spirito olimpico, promuoveranno spot pubblicitari nei quali saranno esaltati valori di lealtà, umanità e di pace. Tutto mentre nelle loro fabbriche, si consuma lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Dell'uomo ridotto ad una merce di valore minore di quella che produce.

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martedì 18 marzo 2008

I giochi olimpici oscureranno la repressione

Come in ogni azione di repressione da parte di un determinato potere, anche per la vicenda tibetana di questi giorni, è in corso una vera e propria propaganda. Così, mentre il Dalai Lama accusa il governo cinese di compiere un «genocidio culturale», il primo ministro cinese parla di rivoltosi che hanno compiuto «saccheggi e incendi» ed hanno ucciso «in modo estremamente crudele cittadini innocenti». Intanto il governo cinese ha ora propibito l'accesso internet al sito Youtube, dopo che in rete sono comparsi diversi filamti amatoriali sulla repressione cinese in Tibet.
Rimane la certezza di una violenta e sistematica violezione dei diritti umani nei confrotni dei Tibetani, per le quali in questi giorni si elevano indignazioni da più parti. Ma alzi la mano chi conosce reali e concrete manifestazioni di protesta o presa di posizioni da parte di governi o altri centri di potere, che non siano semplici parole di condanna.

Nessuno di quei potentati che si mettono in fila per esprimere a turno parole di condanna, hanno mai fatto notare un'incrinazione nei rapporti politici ed economici con la Cina. Non è conveniente visto che, seppure si notano rallentamenti nell'economia cinese, rimane pur sempre un mercato da continuare a sfruttare. Dove poter importare prodotti per una popolazione molto numerosa; dove poter impiantare ancora per un po' fabbriche con mano d'opera a basso costo; dove quest'anno si svolgeranno le olimpiadi, fonte di guadagno per diversi poteri economici.
Sembra infatti siano stati spesi, per i prossimi giochi olimpici, circa 37 miliardi di dollari e di più ne frutteranno, secondo le stime. E' difficile allora immaginare un boicottaggio delle prossime olimpiadi. Potrebbe darsi che qualche atleta, spinto da personali convinzioni, decida non partecipare, ma resterebbe un caso isolato, che produrrebbe al più un piccolo spazio nei giornali o un accenno in qualche TG, per poi finire dimenticato il giorno successivo. Mentre un'azione di boicottaggio, per avere effetti concreti, dovrebbe partire dai comitati olimpici nazionali ed internazionali; dai governi; dalle federazioni sportive.
Possiamo stare pur certi che ciò non avverrà ed allora assistiamo oggi alle solite, ipocrite, insensate, inutili e nemmeno troppo dure parole di condanna verso la repressione cinese nei confronti dei tibetani; tra qualche mese, quando tutto sarà già dimenticato o scientemente oscurato, ci sarà concesso di goderci i giochi olimpici all'insegna del "volemose tanto bene", animati da penetrante spirito decoubertiniano.
Possiamo essere certi, che quell'evento non sarà disturbato dal fruscìo di tonache arancioni, che si muovono in corteo sulle strade; tantomeno dallo scoppio dei fucili della repressione cinese.




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martedì 11 marzo 2008

Liberi di torturare. G.W. Bush segna ancora la sua presidenza

George W. Bush, è riuscito a segnare nuovamente la sua presidenza degli USA, continuando sulla scia dell'assoluto mancato rispetto delle dignità umana.
Questa volta, il presidente USA ha posto il suo veto alla proposta di legge del Senato americano, di limitare la tortura inflitta negli interrogatori condotti dalla Cia.
Attenzione: quella legge non avrebbe abolito queste pratiche inumane, ma ne avrebbe solo limitato il numero di quelle consentite e considerate "leggere". Tra queste figura il waterboarding (una simulazione di annegamento), considerata essenziale nell'attività di intelligence.
Secondo i sostenitori delle torture leggere, si tratterebbe di tecniche che non dovrebbero arrecare danni permanenti.

In realtà, i danni provocati dalle "torture leggere", sono del tutto simili ai danni da stress post traumatico, provocati alle vittime di torture fisiche. Queste considerazioni sono state le risultanze di uno studio condotto da Metin Basoglu del King’s College di Londra, pubblicato sull'Archives of General Psychiatry ed offerto a consultazione gratuita.

Questo veto dello sceriffo americano George W. Bush, dimostra quanta strada ancora rimane da fare, affinchè la dignità umana sia considerata un valore irrinuciabile, in ogni luogo della terra. Una nuova macchia si è aggiunta sull'amministrazione Bush, che ha deciso che per condurre la "guerra al Terrore", debba essere utilizzato qualsiasi metodo, compresi quelli che calpestano il rispetto per la dignità umana.
Ricordiamocelo, prima di sostenere un presunto alto valore morale dell'amministrazione americana, nella difesa della democrazia mondiale. Chi sostiene pratiche di tortura fisica o psichica, non può essere incluso nell'alveo della civiltà umana, nemmeno quando si tratta dell'imperatore americano George Walker Bush.

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