venerdì 29 febbraio 2008

A Berlusconi che ripropone il nucleare, dico: "ma non rompere i protoni!"

Comincia ad intravedersi il programma del PdL di Berlusconi (perchè, il PdL è di Berlusconi), che però per ora consiste solo in sette, missioni per l'Italia.
Già la parola missioni mi ha fatto tornare in mente quelle in Afghanistan, Kosovo, Iraq, ecc., ma forse è colpa mia che sono refrattario alla guerra, anche se "umanitaria". Ma quando ho letto che il nanetto (ex) pelato, per ridurre la dipendenza energetica italiana da altri Paesi, vuole dare «subito incarico per realizzare fonti di energia nucleare», un brivido mi ha scosso la schiena, provocandomi un riflesso (in)volontario che mi ha fatto esclamare: «Berlusconi ... ma vedi di non scassare i protoni!».

Così il PdL propone di tornare al nucleare anche per ridurre i ritardi, in tema di energia, che l'Italia ha accumulato dai tempi del referendum ad oggi. Ed il ritardo deve essere tanto largo, che Berlusconi non si accorge che in Europa, Paesi come la Svezia il Belgio, la Germania, la Spagna, hanno deciso di abbandonare nei prossimi anni il nucleare e di puntare esclusivamente sull'idrogeno e la bioenergia. Mentre l'Austria ha adottato una legge che vieta la produzione di elettricità per mezzo delle centrali nucleari.
Forse quei Paesi, hanno capito già da un po' alcune questioni che Berlusconi ed i suoi forse considerano secondarie, che fanno del nucleare un'energia nè pulita, nè economica. Berlusconi ed i promotori del nucleare, non considerano ad esempio: il problema delle scorie radioattive; la scarsa quantità di uranio disponibile; l'inquinamento da CO2; i costi di impianto e di dismissione delle centrali; la disponibilità di tecnici preparati; i rischi di incidenti; i rischi terroristici.
Forse a Berlusconi tutte queste cose non le ha spiegate nessuno e quindi non è a conoscenza. Strano che proprio lui non conosca queste cose. Lui Berlusconi, che fa rima con (i miei) protoni.

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Precarietà e flessibilità: cause principi delle morti sul lavoro

Mettete insieme queste tre notizie, pubblicate tra ieri ed oggi: la morte, questa notte a Genova di un portuale, precipitato da un'altezza di venti metri; la conclusione, dei lavori per il Titolo I del Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, dopo sette lunghi mesi dalla legge delega 123/07, mentre sono in via di ultima definizione anche gli altri Titoli sulle parti speciali; i programmi elettorali dei due principali partiti, che nella loro profonda similitudine, sono praticamente privi di proposte in materia di sicurezza sul lavoro, mentre si dilungano molto di più sulla produttività.
Mettete insieme queste tre notizie e cosa se ne deduce?

La risposta che mi sono dato, in un misto di profonda amarezza e rabbia a stento contenuta, è che la politica ed il mondo imprenditoriale, dei morti sul lavoro se ne sbattono!

I lavoratori sono praticamente lasciati soli nel loro quotidiano, rischioso, spesso insalubre lavoro e di loro ci si ricorda quasi solo per chiedere maggiore produttività. Le imprese che chiedono più produttività, defiscalizzazione degli straordinari ed abolizione delle ultime garanzie di tutela, come ad esempio l'art. 18 dello statuto dei lavoratori e la politica cosa fa? Prevede nei programmi dei principali partiti, aumenti salariali legati alla produttività, riduzione delle tasse o completa defiscalizzazione degli straordinari e ad esempio, il PD inserisce tra le sue liste Pietro Ichino, strenuo sostenitore dell'abolizione dell'art.18 (mentre Berlusconi ci aveva già tentato con il suo primo governo e non credo abbia cambiato idea, nel frattempo).

Tutte misure che servono ad aumentare i tempi di lavoro ed i ritmi di lavoro, che non sono mai abbastanza impegantivi, secondo gli industriali. La filosofia di chi detta i tempi operai è che "il tempo è denaro". Senza capire che la vita ha bisogno di tempo e che se ai lavoratori si togle il tempo di vita, è la vita stessa che gli viene ridotta. E parlando di sicurezza, la vita la si mette ancora di più a rischio.
Dalle loro soffici poltrone imbottite e vellutate, i politicanti a braccetto con gli industriali, dicono che chi vuole guadagnare di più deve lavorare di più. E dicono che chi vuole lavorare, deve essere flessibile. Flessibile (precario è la parola giusta) e molto produttivo, altrimenti torni a casa.
La causa principe dei 1300 morti all'anno sul lavoro e dell'oltre milione di infortuni, è nascosta nelle due paroline magiche che hanno fatto la fortuna degli industriali: precarietà e produttività.

Precarietà e produttività, sono condizioni di lavoro e di vita che i lavoratori troppe volte sono costretti a subire. Ed in quelle condizioni sono troppo spesso costretti ad abituarsi a convivere con il rischio, perché a volte altra scelta non c’è. A volte gli operai, se vogliono lavorare per vivere, sono costretti ad accettare il rischio di morire.

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giovedì 28 febbraio 2008

Ognuno decida quando far cominciare una nuova vita. Ma alla donna rimanga il diritto di scelta

Ho fatto oggi una piccola carrellata delle testate giornalistiche sul tema dell'aborto ed ho notato che dopo il via libera da parte dell'Aifa alla RU486, una parte della stampa si sta concentrando ancora di più - se possibile - sull'aspetto del diritto alla vita.
Dalla piccola rassegna stampa di oggi, sono stato colpito in particolar modo da due articoli. Uno di questi è a firma di Enrico Garaci, presidente dell'Istituto Superiore di Sanità e pubblicato sull'Avvenire, con il quale egli sostiene, dalla sua posizione istituzionale, che «non sono possibili mediazioni su valori come quelli che riguardano il significato della parola vita». L'altro articolo è apparso su Il Tirreno, è firmato da Rita Piombanti ed è una lettera aperta a chi vuole abortire, dal titolo "Non si può negare la vita". Il concetto di questa lettera è tutto raccolto in questa frase che l'articolista rivolge ad una donna: «Scusa se userò il verbo "uccidere" che sicuramente non ti è gradito ma lui, tuo figlio, è un essere vivente a tutti gli effetti. Già, vivente».

Ora, si capisce bene che i concetti espressi in quelle frasi, che sono la sintesi di un pensiero che si sta cercando da più parti di divulgare e fare passare, tendono ad indurre nella donna un senso di colpa per un gesto che si vuole paragonare all'omicidio.

Si richiama fortemente un diritto alla vita, che si vuole contrapposto a quello della libera scelta da parte della donna. Il diritto alla vita del nascituro contro il diritto della donna all'autodeterminazione sul proprio corpo. E' ovvio che se si assume per certo che il nascituro è un essere vivente fin dal suo concepimento e per l'aborto di utilizza il termine uccidere, chi pratica l'interruzione volontaria di gravidanza è un'omicida.

Non si può stabilire una volta per sempre e per ognuno, in quale stadio del suo sviluppo una vita possa essere considerata tale. Allora, che ogni persona, secondo la propria etica, cultura, religione o esperienza che si voglia, stabilisca per sè e per nessun altra, cosa considerare vita: se già un embrione, se il feto o il suo seguito.
Ciò che invece rimane inconfutabile, è che nella stessa natura umana è stabilita l'impossibilità dello sviluppo di una possibile nuova vita, senza l'accettazione di essa da parte della donna.
Se è vera come è vera quest'ultima affermazione, significa che non può esserci vita a prescindere dal corpo materno, sul quale la donna deve avere libertà di scelta. Non può esiste quindi sviluppo di una possibile nuova vita senza che la donna non decida che possa esserci. L'embrione nel grembo materno non è perciò una nuova vita, ma la possibilità di una nuova vita, che esiste (la possibilità) solo in quanto legata al corpo della donna la quale, in quanto portatrice di diritti, deve liberamente poter scegliere cosa fare del proprio corpo.

Non si può perciò continuare a recitare il refrain secondo il quale, poichè un embrione si sta sviluppando nel grembo materno, quell'embrione "deve" diventare una nuova vita autonoma.
Non può essere contrapposto al reale e certo diritto della donna all'autodeterminazione, un diritto alla vita che non dipende da nient'altro, ma sussiste in sé e per sé.

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mercoledì 27 febbraio 2008

L'impegno del PD per gli infortuni sul lavoro, senza disturbare gli industriali

La propaganda politica, è risaputo, spesso cavalca l'onda dell'emotività, in special modo in periodo di elezioni politiche.
Questa campagna elettorale non fa differenza e perciò Walter Veltroni, ha voluto tra le sue liste elettorali l'unico superstite della strage torinese della ThysseKrupp. Ma non si è fermato a questo ed ha precisato, pochi giorni fa, che «l'impegno a favore di un lavoro dignitoso e sicuro e contro il triste fenomeno degli infortuni sul lavoro ispira tutta la politica del PD».
Dopo la tragedia della ThyssenKrupp, il tema delle morti sul lavoro è rimbalzato su tutti i media nazionali, ogni giorno si contavano nuovi morti ed era quasi scontato un impegno elettorale in tal senso.
Cosa rende poco credibile, la sincerità dell'impegno del Partito Democratico sulla questione morti sul lavoro?

Lo stesso programma elettorale.
Come dire: l'onda lunga dell'emotività è scemata; le cronache non raccontano più di nuovi morti sul lavoro, anche se i caduti sul lavoro si continuano a contare al ritmo drammatico di tre al giorno. Ma i morti non votano e così un programma elettorale può anche trascurare l'argomento che li riguarda.
La parte di programma del PD sul tema sicurezza sul lavoro, conta tre punti: 1. una sola Agenzia Nazionale per la sicurezza sul lavoro che coordini l’attività preventiva, ispettiva e repressiva; 2. premi a chi investe in sicurezza; 3. migliori indennizzi ai lavoratori infortunati. Tutto qui.
L'unica novità è rappresentata dal primo punto, ovviamente insufficiente a porre un freno alle morti sul lavoro. Mentre con il secondo punto, si vorrebbero premiare aziende per il solo fatto di adempiere a loro precisi obblighi. Mi chiedo quale lavoratore sia mai stato premiato, per avere indossato l'elmetto o per non avere rimosso le fotocellule da una pressa. Mentre con il terzo punto, non si previene un bel niente, solo si interviene con indennizzi a fatto accaduto. Ma credo che un lavoratore preferisca tenersi un braccio, anzichè sapere di un migliore indennizzo per averlo perso il braccio.

Le cose che mi sono rimbalzate nella mente, leggendo questi tre miseri punti veltroniani sono, oltre che la totale assenza di proposte di prevenzione degli infortuni, di formazione fin dalle scuole, di maggiori tutele dei lavoratori, di interventi in materia di subappalti, ecc.; oltre questi punti, dicevo, mancano proposte quali: testo unico sulla sicurezza e inasprimento delle sanzioni, per i trasgressori delle norme in materia di prevenzione e protezione.Ho avanzato un'ipotesi, sul perchè queste due semplici ed ovvie proposte mancano all'appello, che ritengo possa essere fondata: quei due punti sono stati fortemente criticati dal vice presidente di Confindustria Alberto Bombassei, in un'intervista rilasciata al sole 24 ore, pubblicata lo scorso 9 febbraio.

Come dire l'impegno contro il triste fenomeno degli infortuni sul lavoro ispira tutta la politica del PD, a patto di non disturbare i manovratori.

P.S.: volevo verificare se anche su questa materia i programmi di PD e PdL si sovrapponessero. Con grande mio stupore, in questo caso non è così. Il Partito delle Libertà, su questo argomento non si esprime affatto!
Chissà, forse trattando di un tema che ha a che fare con la vita e la morte dei lavoratori, è valutato un tema etico e perciò da non trattare in campagna elettorale.

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Via libera alla RU486. Nuovi vergognosi attacchi dagli antiabortisti

L'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha dato il primo via libera alla commercializzazione in Italia della pillola abortiva Ru486. La commissione tecnico-scientifica (Cts) dell'Aifa ha infatti fornito parere favorevole alla richiesta di autorizzazione al commercio, attraverso la procedura di mutuo riconoscimento, che coinvolge anche altri Paesi europei, per la RU486.(fonte corriere.it)

Finalmente e, per dirla con il ginecoloco torinese Silvio Viale, promotore della sperimentazione della RU486, «Finalmente finisce il bluff di chi la chiamava "pesticida umano" o "diserbante chimico"».
Che la RU486 sia un farmaco, è stato spero chiarito una volta per tutte e «sarà utilizzato per gli aborti nell'ambito della legge 194», chiarisce ancora Viale.

Ma credo che saranno comunque prevedibili gli attacchi delle frange antiabortiste.

Credo di poter già immaginare le frasi con le quali, nei confronti di donne che sceglieranno di abortire ed alle quali sarà data possibilità di utilizzare la RU486, saranno lanciate accuse di "avvelenamento dei figli".
Non appaia esagerato. Finora i difensori della vita, scagliati contro il diritto di scelta della donna, hanno già raffigurato quante ricorrevano all'interruzione volontaria di gravidanza, come delle assassine. Hanno finora già individuato le omicide, descritto il movente ed ora vedranno la RU486 come un'arma del delitto. Raffigurazione vomitevole al solo pensiero!

In fondo già il presidente dei deputati dell'UDC, Luca Volontè ha detto testualmente: «Trasformare l’utero femminile in camera a gas è solo una barbarie».
Capite? Non più solo la raffigurazione della donna, incappucciata come un boia, pronta a fare cadere la scure sulla testa di un bambino. L'offessiva antiabortista, si spinge ora fino a rappresentare la donna che ricorre all'aborto come una sorta di gerarca nazista, che spietatamente si appresta ad aprire i rubinetti del gas, per soffocare delle vite umane. Riuscite a pensare a qualcosa di più abominevole?

Mi chiedo quale sia il supposto secondo il quale, una donna che scelga di non fare sviluppare una possibile nuova vita attraverso il proprio corpo (attenzione: non sviluppare una possibile vita ed uccidere sono concetti profodamente differenti), debba per questo essere condannata a soffrire.
Cercare di impedire la promozione "dell'uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell'integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l'interruzione della gravidanza", come stabilito dall'articolo 15 della legge 194, significa voler condannare la donna ad una sofferenza fisica, da aggiungere alla sofferenza psihica. Ma la sofferenza psichica non è visibile, mentre quella fisica può essere messa in bella mostra ed essere da esempio.

Allora forse è questo che si vuole: esibire le condanna alla sofferenza per le donne che interrompono una gravidanza, che si vorrebbero vergognose della loro scelta. Sarebbero esempi per quante si dovessero trovare a dover fare scelte simili, proprio come avviene nei peggiori totalitarismi.
Questa sì, che è una barbarie!

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martedì 26 febbraio 2008

L'ambientalismo del fare di Veltroni, si traduce no all'ambientalismo


Si procede spediti nella corsa elettorale. Già il PD ha presentato il suo programma di 35 pagine compresa copertina, indice ed introduzione e sempre con il bel faccione sorridente del leader Walter Veltroni.
Il tema dell'ambiente nel programma del PD, è trattato nel capitolo 5, ma siccome è un tema che mi sta a cuore e siccome anche Veltroni ha voluto più volte affrontarlo, in vari suoi interventi pubblici e televisi, ho voluto darci un'occhiata. Anche perchè finora il leader del PD ha trattato il tema ambiente sempre in maniera molto fugace, proponendo un pressochè astratto "ambientalismo del fare".

Ed anche nel programma del suo PD, Veltroni parla di "ambientalismo del no", che lui contrasta ed a cui "è ora di dire basta". Ma non si capisce bene cosa sia questo ambientalismo del no.Quello che si capisce bene invece, è che il tanto propagandato ambientalismo del fare. "Sì ad infrastrutture moderne e sostenibili. Chiamare le cose col loro nome: rigassificatori, termovalorizzatori, TAV Lione-Torino-Trieste", si legge nel programma del PD.

In che modo un rigassificatore è classificato come fonte di energia pulita? Eppoi non credo che il PD abbia inserito i termovalorizzatori tra le infrastrutture sostenibili, credendo che con quel termine si indicasse la valorizzazione dell'ambiente o della salute pubblica. Ma vorrei anche sapere in quale parte del mondo, una grande opera è stata così ben inserita in un certo contesto, senza deturparne l'aspetto ambientale.
I Paesi più lungimiranti in Europa e nel mondo dal punto di vista ambientale, non costruiscono rigassificatori per migliorare la propria efficienza energetica, semmai incentivano le fonti pulite e rinnovabili, queli eolico, solare, ecc. Ed a proposito di questo argomento, Veltroni dovrebbe sapere che "il 20% di energia con il sole e il vento" previsto nel suo programma, è appena appena il minimo stabilito per l'Italia in sede UE, per il prossimo futuro.
Gli stessi termovalorizzatori sono considerati, nella legislazione europea in materia di rifiuti, l'ultima soluzione praticabile in un ciclo virtuoso dei rifiuti, che dovrebbe passare in primo luogo per una riduzione della loro produzione. Ma di riduzione e riutilizzo, nel programma dei democratici non si fa menzione.
Così come nessuno più oramai considera le grandi opere, quali infrastrutture sostenibili dal punto di vista dell'ambiente, che per essere tutelato si dovrebbe evitare quanto più possibile l'intervento umano, privilegiando semmai le piccole opere ed il mantenimento in efficienza di quelle esistenti.
L'ambientalismo del fare di Veltroni, con il quale si vorrebbero far passare per innovative, proposte che appaiono tipiche di Paesi con economie in via di sviluppo, appare perciò come un no all'ambientalismo .

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G8 di Genova. Bolzaneto come un girone dell'inferno

Finalmente qualcosa comincia a venire alla luce, sui drammatici fatti di Bolzaneto, durante il G8 di Genova del luglio 2001.
Durante la seconda parte della requisitoria dei pm Vittorio Ranieri Miniati e Patrizia Petruzziello, sono emersi fatti inquitanti di torture fisiche e psicologiche, perpetrate nella caserma di Bolzaneto. Gli imputati per questi reati sono in 45, tutti ai vertici del personale della polizia penitenziaria, polizia di stato, carabinieri e medici.
Un girone dell'inferno, come è stato definito, nel quale i manifestanti arrestati durante le manifestazioni sono stati picchiati, insultati, spogliati, derisi e minacciati tra le altre cose di sodomizzazione.

Chi è scampato a questa Guantanamo genovese, provi a pensare solo un attimo di essere sottoposto a torture simili. Vai a manifestare la tua speranza di costruire un mondo diverso e migliore e ti ritrovi in un stanza, sottoposto a delle torture.
Lo so che qualcuno verrà fuori con la solita storia dei manifestanti violenti. Ci sarebbe da discutere abbondantemente su: quali fossero i violenti tra una sterminata folla pacifica; chi avrebbe dovuto allontanarli dal corteo; come iniziarono gli scontri; ecc.; ecc. Ma non voglio farlo qui, nè ora. L'unica cosa che mi preme marcare, è il maggiore carico emotivo che si cela nelle violenze eseguite da uomini in divisa su persone inermi, dentro una caserma, mostrando così tutta la vigliaccheria di quelle violenze.
Immagino lo stato d'animo di quei manifestanti umiliati, che devono essersi sentiti come in un incubo, di quelli dove ti ritrovi in una condizione di estremo pericolo. Vorresti fuggire, ma non puoi, chiuso come sei tra quattro mura e vorresti urlare, ma la voce rimane soffocata e comunque nessuno può sentirti. Stretto tra una condizione claustrofobica ed uno stato d'ansia per il pericolo evidente per la propria incolumità, che non sai fino a che punto sarà tutelata, ti ritrovi costretto a vivere l'incubo, fino a quando non tu ma qualcun altro non decide che puoi svegliarti.

Ciò che deve preoccuparci, come società civile, è il rischio di impunità per chi diede evidentemente ordini precisi per quelle violenze, o comunque volutamente si distrasse nel momento in cui le torture vennero perpetrate. E deve preoccuparci il fatto che nessuna inchiesta interna alle forze dell'ordine, è stata portata avanti a seguito dell'accertamento di quelle torture, marcando un'assenza di democrazia e senso civile in certi ambienti.
Senza una riforma che sia prima di tutto culturale, in ampi settori dell'ordine pubblico, ho paura che potremo ancora assistere ad episodi come quelli del G8 genovese.
In questo senso, le vicende di Federico Aldrovandi e di Aldo Bianzino, sono molto più vicine di quanto possa apparire ai fatti di Genova 2001.

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lunedì 25 febbraio 2008

Una società con etica religiosa è una società escludente

Meravigliato forse non dovrei esserlo, perchè quelle che sto per commentare in questo post, sono frasi che si sentono ripetere da molto tempo. Ma è bene non farci l'abitudine, con il rischio conseguente di ritrovarsi ad accettare passivamente certe affermazioni.
Sono rimasto perciò sbalordito dalle parole di Pier Giorgio Liverani, pubblicate a pagina 33 dell'Avvenire di domenica, nella sua rubrica Controspampa.
Il titolo della rubrica di domenica è la società letale ed è tutto un programma di quanto Liverani ha riportato nell'articolo.
C'è poco da interpretare, tanto l'articolo è esplicito e diretto. Riporto testualmente alcuni passaggi.

«In una società laicista l’umanitarismo è un optional: ci si ferma al neminem lædere (non ledere nessuno) dell’antica Roma pagana. In una società cristiana la caritas è l’anima e il fine del vivere insieme. In una laicista vigono, invece, i cosiddetti "diritti civili" (virgolettato nel testo, n.d.r.) (aborto, divorzio, droga, fecondazione artificiale, embrioni come farmaci, omosessualità normalizzata, eutanasia...) e nessuno è tenuto a interessarsi, per esempio, di chi si droga se non per la paura della criminalità. Si capisce allora che in una società laica, come dice in antilingua il citato 'Manifesto' (di bioetica laica, n.d.r.), «la gravidanza può essere interrotta per salvaguardare la salute del nascituro» e, ugualmente, «la salute del nascituro è salvaguardata con la diagnosi preimpianto». Cioè, tradotto in italiano, per guarire il malato basta applicare la salva­guardia laica. Peccato che sia letale.»

In questi passaggi, si vorrebbe evidenziare l'esistenza di una etica religiosa - anzi di più - cristiana, dalla quale non si può prescindere, se non considerando il pericolo di una società egoista. Liverani, vorrebbe affermare che senza un'etica fondata sulla religione cristiana, si andrebbe incontro ad una società atomizzata, dove ognuno pensa per sè, privando la società di regole di convivenza e mancando in questo caso, secondo questa visione, la coesione sociale. Si vorrebbe far derivare da questo ragionamento, almeno per come personalmente lo leggo, che da una società fondata su un'etica laica, si produrrebbe una spinta verso la solitudine, la criminalità, il disagio ed ogni male che l'uomo ha imparato a produrre.
Volendo guardare alle evidenze oggettive, non si riscontrano tracce a sostegno di questa tesi. Basta prendere in considerazione il rapporto del 2005 sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite, dal quale emerge che le società meno religiose sono anche quelle dove le stime su aspettativa di vita, livello di istruzione, guadagno pro capite, uguaglianza tra i sessi, tasso di omicidi e mortalità infantile, sono migliori. Mentre sono società saldate sulla religione, quelle delle 50 nazioni oggi classificate nei posti più bassi dalle Nazioni Unite in termini di sviluppo umano. sarebbe da indagare quale sia l'effetto e quale la causa, è vero. Ma tanto basta per evidenziare quanto povera di fondamenti oggettivi sia la tesi di Liverani.

Ma volendo rimanere sull'aspetto etico, io credo che regole di vita e di convivenza quali: rispetto, onestà, giustizia, solidarietà, siano insite nella natura umana. Nessuno approva naturalmente l'omicidio, come nessuno accetta il furto o considera giusta la povertà.
Penso di poter dire anche, che un'etica fondata sulla religione, costringe chi la segue a comportamenti obbligati da specifici precetti, basati su dogmi che difficilmente potranno essere soggetti a cambiamenti. La staticità a cui sarebbe obbligata un'etica cattolica, non consentirebbe un adeguamento della stessa ai mutamenti costanti a cui è naturalmente soggetta la società, rivelandosi così, l'etica religiosa, indaguata a guidare i comportamenti sociali.
Quanto sopra contrariamente a quanto avviene invece, per una società che fonda la sua etica su basi laiche, dove l'individuo costruisce liberamente i propri comportamenti, anche sulla base dei cambiamenti sociali. Perciò il singolo si rapporta dinamicamente con la società in cui vive e guarda agli altri modelli sociali, come esperienze con le quali confrontarsi sullo stesso piano, senza presunzioni di superiorità dettate da dogmi irremovibili.

Una società cristiana sarebbe costretta a muoversi entro criteri ben definiti dall'etica religiosa, assunti a verità assolute e che perciò si vorrebbero imposti anche a chi quei criteri non condivide, realizzando di conseguenza una società escludente.

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venerdì 22 febbraio 2008

Scenari surreali per un possibile governo Berlusconi

Aida Yespica ha già smentito: «Non scendo in politica con Berlusconi» ha assicurato la soubrette del Bagaglino. Ma quello della modella venezuelana non è l'unico nome - tra i personaggi dello spettacolo - associato in queste ore al Popolo della libertà. Indiscrezioni, suggestioni, boutade. Qualcuno ha suggerito il nome di Angela Sozio, la rossa del "Grande Fratello 3" rimbalzata agli onori della cronaca politica, nell'aprile dello scorso anno, dopo le sue foto mano nella mano con Berlusconi a Villa Certosa.
(fonte www.corriere.it)

Va bene mettersi in ridicolo, ma impegnarsi fino a questo punto per rendere la politica la traspozisione alla realtà del bagaglino, è davvero troppo.

E poi? Se venisse eletta? Da questa politica che si manifesta come fosse avanspettacolo (chiedo scusa a chi lo ha degnamente praticato), mi aspetto che le affidino anche un ministero, magari dello sport, dopo le capriole elegantemente praticate nell'idromassaggio del Grande Fratello 3.

E già immagino alcuni elementi, che potrebbero comporre insieme ad Angela Sozio, l'eventuale squadra di governo berlusconiana:

Ferrara al ministero per i "rapporti" con il Parlamento, si impegnerà affinchè ogni decreto possa "venire alla luce", senza che l'opposizione laica e di sinistra ne possa "impedire la nascita".

Calderoli alle pari opportunità, per dimostrare che se ce l'ha fatta lui, davvero ce la possono fare tutti.

Storace al ministero "del saluto" ... non c'è altro da aggiungere.

Borghezio mi piacerebbe vederlo come ministro "agli" esteri ... cioè, proprio fuori dall'Italia.

Al ministero della "famiglia"? Totò Cuffaro, se non devesse essere rieletto (come mi auguro) governatore della Sicilia.

Mi fermo qui ... ho già messo in moto un'eccessiva quantità di succhi gastrici, che risalendo velocemente, stanno causandomi un nuovo attacco di gastrite.

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Il "ma anche" di Veltroni messo in pratica nelle liste elettorali del PD

Più lo leggo o lo sento, più lo accosto ad un idea politica vicina a quella del suo avversario. O quanto meno alla parte politica avversaria. Di chi sto parlando? Di Walter Veltroni.
La politica condotta come spot elettorali, ha bisogno di attori che sappiano convincere e rassicurare. Così, gli elettori da cittadini sono diventati consumatori. Come nel commercio, il prodotto o servizio da mettere sul mercato, deve trovare riscontro nel maggior numero di potenziali acquirenti e possibilmente in un numero di fasce di consumatori.

E' questa la logica delle candidature nel partito democratico, che vede schierati l'uno al fianco dell'altro Matteo Colaninno, vice presidente dei giovani imprenditori e Antonio Boccuzzi, l'unico operaio superstite del rogo delle acciaierie ThyssenKrupp.
Per quanto mi riguarda, è sempre un piacere vedere un operaio candidato a diventare parlamentare. Magari si potessero vedere sempre più donne, operai, precari, studenti. Ma l'operazione del Partito Democratico, la leggo come quelle pubblicità delle merendine che mettono insieme, l'appagamento del bambino che trova gusto nel mangiarle e la rassicurazione della mamma, convinta che quella merendina non può che farlo crescere bene: la candidatura dell'ex operaio ThyssenKrupp, appaga le speranze della classe operaia; la candidatura di Colaninno rassicura la parte padronale.

E' la messa in pratica forse più evidente, fino ad ora, della filosofia del leader del PD, espressa in quel "ma anche" ormai celebre. Solo che appare più che altro un uso mascherao del bastone e della carota, nei confronti dei lavoratori.

Mi si dirà che la mia è una convinzione pregiudiziosa, che non ci sono elementi per confermare questa mia considerazione. Forse è vero. Ma chissà perchè se provo ad immaginare un colloquio tra l'imprenditore Colaninno e l'operaio Boccuzzi (tra l'altro pare che il primo sia capolista del secondo), non riesco a pensare all'imprenditore che ammette all'operaio, che la strage alla quale è scampato il 6 dicembre 2007 e nella quale persero la vita sette suoi compagni di lavoro, è figlia di una cultura d'impresa che monetizza anche il rischio della morte di un lavoratore.

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giovedì 21 febbraio 2008

Caccia ai cervi nel Parco dello Stelvio


L'uomo, l'animale più distruttivo del pianeta, decide quali esseri viventi sono troppo numerosi in un determinato habitat naturale.
L'uomo, forse l'unico essere vivente della Terra che non ha saputo convivere con il mondo che abita, ma con il quale al contrario, continua ad avere un rapporto profondamente conflittuale, decide quale specie vivente può o non può vivere un determinato territorio.
Queste decisioni, l'uomo non le prende con lo scopo di sopravvivere e di evolversi, come avviene credo per ogni specie vivente e certamente per le speci animali. No, l'uomo sfrutta il territorio per volerlo dominare, fino ad ucciderlo, il territorio che gli ha permesso di sopravvivere.

Questo atteggiamento mi pare sia stato messo in pratica, anche nella decisione del Parco Nazionale dello Stelvio, di aprire, al suo interno, la caccia ai cervi, nel settore trentino. Le motivazioni? I cervi sono troppo numerosi e provocherebbero danni alle foreste ed alla produzione di foraggio.
Come dicevo prima, a parte l'uomo, tutti gli altri esseri viventi hanno saputo convivere con la natura circostante. Nessun essere vivente mi pare abbia mai provocato i danni che invece ha saputo creare l'uomo. Nessuna deforestazione è stata provocata da altri animali; lo scioglimento dei ghiacciai non è opera dei pinguini che abitano l'Antartico. Allora mi chiedo: troppo numerosi per chi o cosa? Per l'ambiente che l'uomo ha snaturato?
Da quanto si legge nel comunicato del movimento vegetariano "No alla caccia", i cervi si sarebbero rifugiati nel parco, avendo imparato che fuori da esso avrebbero la loro vita in pericolo, per la presenza dei cacciatori. Allora, si capisce bene che i cervi sono ora numerosi nel parco, a causa di un'attività ludica dell'uomo, che ora vorrebbe rimediare con lo stesso mezzo che è stato la causa del problema. Un'assurdità del tutto umana, mi pare, visto che nel regno animale ogni essere si adatta all'ambiente che lo circonda. Tranne l'uomo.

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L'allegra scampagnata degli amministratori vastesi

(Ricevuto da Claudio Zimarino di Un Voto Pulito per Vasto e pubblicato)

Il mese di Gennaio ha visto un importante evento multipoliticomassmediale, ovvero l’allegra scampagnata in quel di Perth (Australia) di una maxi-delegazione di rappresentanti delle Istituzione Comunali Vastesi. Di solito in queste occasioni viene mandata una persona (il Sindaco), in questa occasione almeno 7 persone (da quello che si vede nelle foto) hanno preso parte all’evento.
La ghiotta occasione era l’Inaugurazione del Monumento all’Emigrante, iniziativa senz’altro lodevole in sè per ricordare chi ha sostenuto enormi sacrifici per riscattare la propria vita dalla miseria e dall’insoddisfazione.
Ci dispiacerebbe però alquanto se l’Amministrazione Comunale dovesse sostenere una spesa stimabile in decine di migliaia di euro (si spera vivamente in una smentita degli interessati), in un momento in cui ogni giorno c’è l’aumento di qualche tariffa locale (vedi Scuola, Rifiuti ed altre belle sorprese che ci aspettano). In ogni caso non è certo uno spettacolo edificante per il cittadino vastese, sempre considerate le circostanze, vedere i nostri rappresentanti crogiolarsi sotto il sole dell’Australia.
Visto che mi contestano di non essere propositivo voglio esserlo questa volta: suggerirei la prossima volta di organizzare un gratta e vinci comunale fra i parenti degli emigranti dal titolo: “Turisti per caso: Vinci un viaggio in Australia, in modo da allargare democraticamente la platea dei potenziali partecipanti anche a chi ha veramente un interesse reale ad andarci.

Claudio Zimarino
Un Voto Pulito per Vasto


P.S.: mi trovo anche in questo caso a condividere quanto descritto nel comunicato stampa sopra riportato. (Crocco1830)

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Blogger italiani in terra d'Islanda

Ok! ... fatto. Invitato da quel pazzo di Riverinflood, amministratore del blog Ideateatro, ho assolto al mio dovere.
Ho letto la normativa, ho scelto tre tra i Top posts islandesi ed ho lasciato un commento. Un misto tra italiano e dialetto uastarolo (vastese in italiano).

I tre "sfortunati" blogger islandesi da me scelti sono questi:
dannihjalta
siggeir
stulli

... e ora? Eh eh eh ... ora tocca a voi, ai cinque blogger da me scelti per fare la stessa cosa! Buon viaggio in terra d'Islanda agli amici blog:
1manifesto
tisbe
spartaco
ruotegrasse
il segnalatore

Ora ho assolto completamente al mio compito.

Ciao 'uaglio!

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mercoledì 20 febbraio 2008

Agonia ed estasi. Così ci vede Newsweek


Agonia ed estasi.
L'Italia funziona appena. Eppure, la sua gente è felice.
E' il titolo che campeggia sopra la foto qui a fianco nel settimale inglese Newsweek.

Nonostante tutto, gli italiani pensano che il Paese ha ancora il potenziale di creatività per uscire dal caos. Nonostante un Italia praticamente nella merda ... o meglio con la spazzatura che lo sommerge questo nostro fu Bel Paese.

E' così che il settimanale inglese Newsweek, raffigura l'Italia: un paese sommerso dalla spazzatura, metafora di "come un Paese delizioso è diventato la zona politicamente ed economicamente disastrata dell’Europa".
La foto di copertina del settimanale, che introduce alcune pagine di reportage, solo quanto di più eloquente dell'immaginario dell'Italia in Europa.


La crescita degli anni ottanta, che sembrava dovesse fare dell'Italia una forza trainante dell'Europa, è stata solo un'illusione.

Ma il settimnale inglese se la prende anche con la classe politica, che presenta "le stesse facce da almeno 15 anni mentre l’economia è in stallo". Alla faccia del rinnovamento, delle novità propagandate da PD e PdL.
Classe politica vecchia e disfunzioni politiche. Anche questo è stato causa della caduta del governo Prodi e, il possibile ritorno di Berlusconi al potere, per Newsweek, "difficilmente è motivo di ottimismo".

Insomma, un'italia allo sbando, per il settimanel inglese. Forse è vero. Ma è anche vero che le critiche mosse e le soluzioni proposte, guardano sempre dallo stesso lato. Risanamenti economici, prodotto interno lordo, soluzioni monetariste varie. Ed in mezzo a tutto questo, non poteva mancare l'autosufficienza energetica, tra ricercare - in maniera anche troppo semplicisticamente proposta - nell'uso anche del nucleare, dopo un referendum "emozionale".

Mi pare quindi che le proposte messe sul campo, parlino la stessa lingua monetarista e finanziaria, che sta già soffocando le classi più svantaggiate del nostro Paese.

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Medici obiettori: è ora di dire basta!

Più il dibattito sull'aborto va avanti, più mi accorgo di quanto quella parte di opinione antiabortista, spesso cattolica ed a volte atea devota, ipocritamente si ponga a difesa del presunto diritto di obiezione di coscienza dei medici.
Tale possibilità, oggi concessa ai medici, mette in chiara difficoltà le donne che per un motivo o per un altro, decidono di abortire. Tale libertà concessa ai medici, di fatto limita la possibilità per le donne, di poter pienamente e liberamente disporre del proprio corpo e di scegliere se vivere una maternità.
E' conosciuta ed è scandalosa l'alta percentuale di medici obiettori presenti nelle strutture sanitarie, che a volte addirittura raggiunge il 100%, obbligando le donne, quando non hanno la possibilità di recarsi in altra struttura, perchè magari troppo lontana e/o economicamente non accessibile, a ricorrere a metodi abortivi pericolosi per la loro stessa vita.

La normativa attuale consente al medico di proclamarsi obiettore di coscienza e di praticare questa scelta. Ma le stesse norme, obbligano le strutture sanitarie a garantire la pratica dell'interruzione di gravidanza. Quest'ultima parte è ovviamente spesso disattesa, ma in pochi ne parlano.
Per quanto mi riguarda, io credo che la professione medica è incompatibile con l'obiezione di coscienza. Se si pensa di dover obiettare contro obblighi professionali, semplicemente deve scegliere di praticare un'altra professione.
Io stesso sono stato e sono un obiettore di coscienza, non dal punto di vista medico, ma da quello militare. La mia coscienza obietta contro l'uso delle armi e perciò ho fatto servizio civile. Ho esercitato il mio diritto all'obiezione di coscienza, ma insieme ad esso ho rinunciato (volentieri, volente ed in coscienza) alla possibilità di praticare una qualunque professione che preveda l'utilizzo di armi.
Stessa cosa credo debba essere per chi obietta contro degli obblighi professionali. Contestualmente all'obiezione nei confronti di determinati obblighi, si rinuncia all'esercizio della specifica professione.Altrimenti, chi accetta che ad un medico cattolico o ateo devoto, nonostante gli obblighi impostogli dalla professione, debba essere garantito il diritto all'obiezione di coscienza e per questo possa rifiutare di praticare un intervento di interruzione di gravidanza, dovrebbe accettare allo stesso modo altri ipotetici casi analoghi. Non credo che tra quanti ritengono che l'obiezione di coscienza di un medico debba essere garantita, continuerebbero a pensarla allo stesso modo se, trovandosi malauguratamente di fronte alla necessità di una trasfusione, questa gli venisse negata da un medico testimone di Geova. Non oso immaginare la reazione di una persona che abbia bisogno di un itervento urgente, ma si trovasse nell'impossibilità di essere operato perchè il medico di turno è musulmano ed in coscienza di fede non può intervenire su una persona di sesso opposto.
Onestamente non credo che in casi come quelli descritti sopra, ci troveremmo di fronte alla stessa nutrita schiera di difensori dell'obiezione di coscienza medica.

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L'assurda ed insensata proposta dell’assessore Francesco Paolo D’Adamo

(ricevuto dal movimento Un Voto Pulito per Vasto e pubblicato, il seguente comunicato stampa)
La proposta dell’Assessore Francesco Paolo D’Adamo, lanciata all’interno di un presunto piano di riqualificazione di Piazza Rossetti (che non rientra nelle sue competenze), ci indigna non solo per il suo contenuto: abbattere i due pini di Piazza Rossetti, che ormai fanno parte integrante del Paesaggio di uno dei pochi luoghi decenti rimasti a Vasto, ma anche nelle sue motivazioni: dare maggiore visibilità allo scempio dei Palazzi Scolastici, finora coperto parzialmente dai nostri due amatissimi pini. Ma come il Centro-Sinistra ha condotto una battaglia forsennata contro il modo in cui sono stati restaurati i Palazzi Scolastici ed ora si tira fuori la baggianata della valenza architettonica! Consigliamo vivamente a D’Adamo di dimettersi dal suo incarico per non fare ulteriori brutte figure di fronte alla Cittadinanza, quest’ultima figura è veramente misera.Il movimento UN VOTO PULITO PER VASTO è pronto ad ogni iniziativa al fine di stroncare questo ed altri ennesimi tentativo di scempio del patrimonio naturalistico di Vasto ad opera di chi dovrebbe invece tutelarlo.

Claudio Zimarino - Antonino Spinnato
Un Voto Pulito per Vasto


N.B.: L'indignazione espressa nel comunicato, è anche la mia. All'indignazione, aggiungo profonda commiserazione per la stupidità della proposta.
Crocco1830

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Corteo NO-oil a Potenza

E’ partito da pochi minuti il primo corteo regionale della Basilicata contro le trivellazioni petrolifere. La manifestazione è stata promossa dal Comitato no oil di Potenza e dalla rete di associazioni ambientaliste che si oppongono alle nuove concessioni petrolifere. Almeno 3 mila persone stanno sfilando per le strade di Potenza, sotto un inaspettato e benaugurante solde invernale, e sono dirette alla sede del consiglio regionale della Basilicata.

Molti sono gli studenti, che hanno risposto all’appello dei Comitati contro le trivellazioni petrolifere. A scatenare la protesta è stata la concessione di Monte Grosso, alle porte di Potenza, per la quale la Regione–secondo quanto rivelato dal Comitato no oil–non aveva nemmeno chiesto la valutazione di impatto ambientale. La manifestazione si è aperta con una buona notizia: dal ministero delle attività produttive è arrivata una lettera del sottosegretario Alfonso Gianni che informava i manifestanti che, per mancanza della Via, la concessione–richiesta dalla società Intergas Plus–è decaduta. «Siamo ansiosi si sapere cosa risponderà la Regione Basilicata–dice Miko Somma, del Comitato no oil–Visto che ai nostri rilievi avevano replicato che la procedura di valutazione di impatto ambientale era stata avviata». Pochissime nel corteo le bandiere dei partiti, molti invece gli striscioni dei comitati e degli studenti, il segno più evidente che in Basilicata pochi ormai credono alla favola dello «sviluppo» trainato dalle trivellazioni petrolifere.

(da http://www.carta.org/)


Gli abruzzesi che si battono contro il Centro Oli dell'Eni ad Ortona, sono con voi.
Contro le politiche che attentano alla tutela dei territori ed alla salute dei cittadini che li abitano.


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Gioco politico-elettorale. Chi l'ha detto?

Avete presente quel gioco spesso presente sulla settimana enigmistica, nel quale occorre indovinare chi ha detto una certa frase? Lo ripropongo qui, basandolo sulle dichiarazioni dei principali candidati premier alle prossime elezioni politiche, Veltroni e Berlusconi.
Non vi spaventate, la soluzione è molto più semplice di quelli proposti dalla settimana enigmistica ...



1) Rifiuti in Campania: "Se per cinque anni hai nominato un commissario, sei responsabile come gli altri."

2) Rifiuti: "Rilanceremo i termovalorizzatori"

3) TAV: "Dove c'è l'alta velocita' c'è meno trasporto su gomma. Mi devono dire cosa e' ecologicamente piu' conveniente"

4) Aborto: "Non credo che si debba cambiare l'attuale legge, credo che si debba applicare meglio"

5) Aborto: "Non credo che questo tema delicato sia un tema da campagna elettorale"

6) Tasse: "Ridurre le tasse ai contribuenti leali, ai lavoratori dipendenti e autonomi che oggi pagano troppo"

7) Salari: aumenti attraverso "Detassazione degli straordinari, della tredicesima e quattordicesima"

8) Afghanistan: "È una missione che dobbiamo portare avanti perché ha un obiettivo di lungo periodo"


Soluzione
1) Veltroni. Ma Berlusconi ha detto: "Un'autentica tragica ferita all'immagine internazionale dell'Italia inferta dalla giunta di sinistra guidata da Bassolino e dal ministro verde Pecoraro Scanio".

2) Berlusconi. Ma Veltroni ha detto: "In tutti i paesi europei si fanno i termovalorizzatori. Basta con il tempo dei veti, ora e' tempo delle decisioni."

3) Veltroni. Ma Berlusconi ha detto: "E' una battaglia che si deve fare"

4) Berlusconi. Ma Veltroni ha detto: "Io difendo la legge 194"

5) Berlusconi. Ma Veltroni ha detto: "Evitiamo di utilizzare i temi etici in campagna elettorale"

6) Veltroni. Ma Berlusconi ha detto: "Occorre ridurre la pressione fiscale sui cittadini"

7) Berlusconi. Ma Veltroni ha detto: "Occorre lavorare sulla contrattazione di secondo livello"

8) Veltroni. Ma Berlusconi ha detto: "Quella in Afghanistan e' una missione di pace che deve continuare"

Beh ... ora non potete avere più dubbi su chi votare alle prossime elezioni ...



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martedì 19 febbraio 2008

Anche Maria ha potuto scegliere sulla propria maternità

Sollecitato da una prima pagina del quotidiano "Liberazione", nella quale era raffigurata l'Annunciazione di Da Vinci (la stessa che ho riportato qui sopra), ho voluto provare a riflettere sull'importanza della volontà della donna, sul portare avanti una gravidanza, anche dal punto di vista cattolico.
Da ateo quale sono, sono già pienamente convinto che alla donna, debba essere assolutamente riconosciuto il diritto di poter liberamente disporre del proprio corpo. Un diritto che non può essere limitato per il fatto di possedere un utero. La dignità della donna, non può essere sottomessa al supposto diritto di un embrione.
Ma appunto, ho pensato di poter facilmente ragionare in questi termini, per il fatto che non credo nell'esistenza di un dio.

La curiosità e la voglia di conoscere e di confrontarmi, mi hanno portato perciò a leggere ed a capirne il significato, di alcuni passi del Vangelo di Luca. Nella lettura mi sono aiutato con la lettura dell'interpretazione del significato degli stessi passi, dato da studiosi cattolici, riscontrabili anche nel web.
Quello che viene fuori, mi pare, è che in materia di volontà della donna sulla gravidanza, il Vaticano assuma una posizione diversa rispetto a quanto descritto dal Vangelo di Luca.

Nell'annunciazione del Vangelo secondo Luca, l'angelo Gabriele si rivolge a Maria dicendo: "Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te". Con quel rallegrati Dio, attraverso l'angelo, invita Maria a gioire per la maternità che l'aspetta. Era richiesta a Maria una disposizione essenziale per la cooperazione con Dio nell'opera che si stava compiendo. Senza una vera gioia personale di Maria, non avrebbe potuto essere compiuta l'opera divina, cioè non avrebbe potuto Maria essere madre del figlio di Dio.
Dio ha chiesto a Maria il suo consenso per portare a termine il proprio disegno e questa era libera di poter sciegliere. Non una costrizione quindi, alla volontà divina, per cui non avrebbe avuto senso l'invito a rallegrarsi rivoltole dall'angelo Gabriele. Senza il consenso di Maria, l'incarnazione di Dio non avrebbe potuto essereci.
La stessa risposta di Maria "Avvenga per me come tu hai detto", sottintende non soltanto una volontà della donna conforme al volere divino, ma il desiderio di perseguire la volontà divina, che è poi il desiderio e la volontà di portare in grembo e dare alla luce il figlio di Dio.

Se persino Dio si è inchinato alla volontà di una donna, di portare in grembo e dare alla luce il proprio figlio, affinchè si potesse realizzare un disegno divino che avrebbe coinvolto tutta l'umanità, che possono uomini in carne ed ossa, in nome di Dio, essere tanto presuntuosi da limitare la libertà femminile si decidere sul e del proprio corpo?

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Veltroni parla di costi della politica, ma lo fa da populista

Che questa campagna elettorale potesse essere all'insegna del populismo, ne avevo la forte sensazione. D'altronde, con un sistema elettorale come quello attuale e con il leaderismo imperante, era facile intuirlo.
Ad ogni modo, più questa campagna elettorale avanza, maggiormente i segnali di populismo avanzano. Un nuovo esempio ci viene dalle dichiarazioni di Veltroni sui costi della politica. "La politica in Italia costa troppo - ha detto Veltroni - costano troppo mille parlamentari, un numero che non c'e' in nessun altro Paese, hanno degli stipendi altissimi". Avere mille parlamentari "significa avere stipendi per mille persone - ha continuato il leader del PD - e anche servizi per mille persone, tutte cose che costano".

Per carità, niente di più giusto. Ma si noterà che quella dichiarazione è tanto giusta quanto insufficiente. Direi, volutamente insufficiente. Sta nei giochi di una politica fatta di spot televisivi e con lo scopo della conquista del potere fine a se stessa.
Dico questo perchè non è assolutamente possibile che Walter Veltroni non sappia che, certamente esiste un pesante costo della politica dovuto agli alti stipendi dei numerosi parlamentari, ma che i costi della politica sono anche altri e forse molto più onerosi.
Non può non sapere il candidato premier del PD, ad esempio, quanto costano al sistema Paese le stock option dei manager, che godono del privilegio di un trattamento finanziario di appena il 12,5% di aliquota. Suppongo che Veltroni conosca i compensi di manager di aziende pubbliche e degli aumenti di cui hanno goduto in questi anni, mentre il potere di acquisto di stipendi e pensioni è drasticamente diminuito, nello stesso periodo. Certamente poi, Veltroni sarà a conoscenza dello spropositato numero di consiglieri di amministrazione nella aziende pubbliche, che percepiscono compensi faraonici.
Perchè Veltroni non ne parla? Forse per non indispettire quei poteri economici, agli interessi dei quali la politica ha troppo spesso sacrificato quelli dei lavoratori? E perchè Veltroni non parla ad esempio di riduzione drastica degli enti di secondo grado non elettivi (quali ad esempio le comunità montane), sparse a migliaia in tutta Italia? Perchè non proporre limitazione delle consulenze e, laddove necessarie un tetto per i compensi a queste destinate?
Perchè Veltroni non rende pubblica la sua indennità di carica e non documenta l'utilizzo fatto, di tutti i compensi supplementari percepiti? Questa sarebbe forse una bella proposta di reale trasparenza politica: documentare l'utilizzo fatto di indenntità supplementari, quali ad esempio quella di 4.000 euro circa mensili, per la voce "rapporto eletto - elettori", di cui ad oggi il parlamentare può fare quello che crede, anche intascarli.
Questa mia contestazione a questo ultimo slogan veltroniano, è rivolto al leader del PD, naturalmente perchè lui ne ha parlato esplicitamente ieri. Ovviamente mi rivolgo anche a tutti quei politici, che in tempo di elezioni non risparmiano demagogicamente parole di condanna per i costi della politica.

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lunedì 18 febbraio 2008

Gli hanno rubato sette anni della sua vita


Stephen è il nome inventato per un migrante nigeriano, che ha subito una drammatica ma reale vicenda. Stephen è uno dei tanti arrivati in qualche modo in Italia. Uno dei tanti ad avere abbandonato la propria terra di miseria, fame e dolore per cercare una vita migliore nel nostro Paese. Come tanti altri migranti, ha salutato con dolore la sua famiglia, gli amici e gli affetti, si è caricato di ricordi ed è arrivato fin qui in Italia, per sperare in un futuro che non fosse fatto solo di guerre e di miseria.
Stephen è nato nel 1969 a Port Harcourt (Nigeria), ed è arrivato in Italia con in tasca una laurea Chimica.

Non è mica facile immaginare l'ingresso di cervelli in Italia, abituati come siamo a vedere fuggire i cervelli italiani, alla ricerca, loro come Stephen, di una dignità che non si riesce a trovare nel Paese d'origine.
Ma quelli di Stephen diventano presto sogni infranti contro un'ingiustizia, che in genere viene riservata alle categorie più deboli. E "Sogni infranti" è il titolo dell'autobiografia che Stephen scrive in carcere.
E già ... perchè Stephen nel 2001 viene arrestato per traffico internazionale di droga. Successivamente viene condannato a otto anni di carcere e la pena viene poi confermata in appello. Oltre a scrivere il romanzo citato sopra ed a prendere parte alla compagnia "Liberi Artisti Associati", Stephen si diploma in Informatica e nel maggio 2007 si laurea con lode, all'Università romana di Tor Vergata.
Stephen lo sa che sarà costretto a ricostruirsi una vita. Ma soprattutto sa di dovere recuperare il tempo perduto in anni di carcere scontati ingiustamente. Infatti il 4 febbraio 2008, Stephen viene pienamente assolto dalle accuse dalla Corte d'Appello di Napoli.
Ma adesso Stephen sa anche che nonostante gli sforzi, quansi certamente non potrà ricostruirsi una vita in Italia. L'ingiustizia italiana, dopo avergli sottratto sette anni della sua vita, non ha finito di abbattersi su lui. Per quanto Stephen voglia recuperare il tempo perduto, non gli sarà concesso di farlo nel nostro Paese, perchè la Legge Bossi-Fini non permette il rinnovo del permesso di soggiorno ai migranti che hanno avuto problemi con la giustizia (a Stephen il permesso di soggiorno è scaduto mentre era in carcere) e li obbliga a lasciare il territorio italiano, con il divieto a rientrarvi.
Non importa che sia stata la giustizia ad avere problemi con un migrante. A Stephen nessuno restituirà i sette anni che gli sono stati rubati.
A chi di fatto ha permesso che una vicenda come quella di Stephen potesse accadere, emanando una legge squallida e vergognosa, che calpesta la dignità di essere umani, non sarà presentato neanche il foglio di via dal Parlamento italiano. Purtroppo.

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Ieri a Pescara, durante il comizio di Veltroni c'è stata una protesta. Chi se n'è accorto?

Ieri a Pescara, durante il comizio di apertura della campagna elettorale di Veltroni, c’è stata una piccola ma significativa protesta.
Immagino che in pochi se ne siano accorti. Si trattava della protesta di cittadini abruzzesi, contro il progetto Eni, di costruire un Centro Oli in Abruzzo, nel bel mezzo del Parco Nazionale della Costa Teatina. Sostanzialmente si tratta di un petrolchimico ed in particolare di un centro per la prima lavorazione del petrolio. Il progetto è praticamente appoggiato dal Presidente della Regione Del Turco, presente ieri sul palco insieme al leader del PD.
Sapete cosa comporterà la sua realizzazione? Un’enorme quantità di trivellazioni su una vasta area abruzzese; l’emissione costante in atmosfera di idrogeno solforato, un gas incolore a temperatura ambiente, estremamente velenoso ed anche possibilmente mortale in caso di prolungata esposizione; rischio di sversamenti in mare e nel suolo, di sostanze inquinanti.
Tutto questo nella Regione Verde d’Europa, che oggi può vantare il 30% di aree protette del proprio territorio e scrigno del 30% della biodiversità presente in Europa.
Con la complicità della politica, che si inchina agli interessi economici dei petrolieri, il patrimonio naturale abruzzese potrebbe diventare solo un ricordo.

Nel video, come attualmente si presenta l'area dove è prevista la realizzazione del Centro Oli e come potrebbe diventare.

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domenica 17 febbraio 2008

Sono un operaio ... sì, esistiamo ancora ... ma non abbiate paura, sono già morto.


Ringrazio sentitamente Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, per avermi segnalato questo video.
"Fa riflettere. Tutti i mezzi d'informazione ne dovrebbero dare ampio risalto. Non dimentichiamoci degli operai della Thyssenkrupp di Torino." mi scrive Marco Bazzoni nella e-mail con la quale mi ha inviato il video.
Ha ragione. Ha perfettamente ragione.

Ringrazio di cuore per le parole egregiamente interpretate da Stefano Pesce, l'ottimo anecoico, amministratore dello splendido blog CATTIVA MAESTRA ed autore del testo del video.

Guardando questo monologo di Stefano Pesce, si capisce ancora di più ed ancora una volta che la classe operaia, seppure dimenticata, esiste ancora.


Quella classe operaia alla quale è necessario restituire la dignità che le è stata tolta.

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venerdì 15 febbraio 2008

Appuntamenti per manifestare la contrarietà al centro oli di Ortona

NON ABBASSIAMO LA GUARDIA SUL CENTRO OLI DELL'ENI AD ORTONA
SABATO 16 FEBBRAIO ORE 18.30 Piazza della Repubblica ad Ortona PROIEZIONE DEL REPORT DA VIGGIANO.
Per capire, vedendo con i nostri occhi, cosa vuole dire avere un centro oli dentro casa.
DOMENICA 17 FEBBRAIO ORE 11,00 PIAZZA SALOTTO A PESCARA: FACCIAMO SENTIRE ANCORA UNA VOLTA LA NOSTRA CONTRARIETA’ AL CENTRO OLI DI ORTONA.
Perchè se non facciamo sentire da soli la nostra voce, nessuno lo farà per noi!

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La più grande discarica del mondo si trova nell'Oceano Pacifico

Dove si trova la più granda discarica di rifiuti del mondo? Qualcuno ironicamente direbbe in Campania, o forse quel qualcuno lo direbbe con convinzione. Ed invece non è così. La più grande discarica del mondo è stata scoperta nel bel mezzo dell'Oceano Pacifico.
Questa discarica ha inizio a 500 miglia nautiche dalla costa della California, attraversa il Pacifico meridionale, oltrepassando le Hawaii per poi arrivare fin quasi al Giappone, dove vi sarebbero "depositati" circa 100 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica.

La notizia è stata riportata da The Indipendent ed attribuisce la scoperta di questo enorme vortice di spazzatura, all'oceanografo americano Charles Moore.
Lo studioso americano, ha fatto la scoperta del vortice di spazzatura per la prima volta nel 1997, quando ancora marinaio vi si imbattè durante una regata. Questa scoperta, aveva indotto Moore a vendere la sua parte dell'impresa petrolifera di famiglia, a darsi all'ambientalismo e allo studio degli oceani. Moore ha in seguito fondato la Algalita Marine Reseach Foundation, una fondazione per la ricerca sugli ecosistemi marini.
Tale massa di rifiuti galleggiante, nella quale vi si puo' trovare un po' di tutto, dai palloni da calcio ai sacchetti di plastica, e' in realta' formata da due parti: una orientale, a sud-ovest del Giappone ed una occidentale a nord-ovest delle Hawaii. Ma nonostante le enormi e devastanti dimensioni, questa gigantesca discarica non poteva essere vista dai satelliti, poiché il mare di rifiuti è traslucido e si trova appena sotto la superficie dell'acqua. "La vedi soltanto quando te la ritrovi davanti alla prua", ha detto Moore.

Si ritiene che il 90% di tutti i rifiuti galleggianti negli oceani, sia costituito da plastica e che in valore assoluto possa essere stimato, secondo il Programma per l'ambiente delle Nazioni Unite, in 46000 pezzi di plastica galleggianti nel 2006.
D'altronde, "Ogni piccolo pezzo di plastica finito in mare da 50 anni a questa parte e' ancora li", ha detto Tony Andrady, un chimico dell'istituto di ricerca americano Triangle, visto che le moderne materie plastiche sono così durevole, che gli oggetti a un mezzo secolo di età sono stati trovati nel nord del Pacifico.

Ma la drammaticità della situazione, sta nella morte di oltre un milione di uccelli marini ed altrettanti mammiferi marini. Siringhe, accendini e spazzolini da denti sono stati trovati all'interno della stomachi di uccelli morti.
Nemmeno l'uomo può essere considerato non a rischio da questa situazione, visto che le centinaia di milioni di piccoli granuli di plastica che vengono gettati in mare, agiscono come una sorta di spugna per altri agenti inquinanti come idrocarburi e DDT e poi entrano nella catena alimentare. "Cio' che cade nell'oceano finisce dentro agli animali e prima o poi nel nostro piatto", ha detto Marcus Eriksen, direttore della ricerca della Algalita Marine Reseach Foundation.

Sarebbe ora che cominciassimo a riflettere seriamente, sul nostro futuro in questo pianeta ormai stanco.

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L'attacco alla 194 come tassello di un disegno di restaurazione sociale

Riguardo al caso di Napoli, dove nel reparto di IVG del II Policlinico di Napoli, l'11 febbraio alcuni agenti del Commissariato Arenella hanno fatto irruzione, senza alcun mandato, motivando di aver avuto notizia di reato di "feticidio" (tra l'altro inesistente) ciò che deve preoccupare, a mio parere, non è l'episodio in sè, ma l'episodio come conseguenza di un clima che di fatto sta già minando la legge 194.
Di fatto, non si può più parlare semplicemente di difesa della legge 194, occorre da subito una presa di coscienza forte, che faccia capire che la libertà femminile di disporre del proprio di fatto già qui e ora non è più garantito.
Se le forze dell'ordine fanno un'irruzione "rambesca" a seguito di una telefonata anonima; se questa irruzione avviene senza mandato; se un magistrato concede un mandato telefonicamente; se una donna, che già si trova in una condizione di sofferenza per l'aborto a cui è stata costretta, viene trattata da criminale e perciò anche intimidita dagli agenti intervenuti; se tutto questo può già accadere, vuol dire che siamo già oltre il tentativo di mettere mano alla legge 194. Di fatto siamo alla sua abolizione pratica.

E non si faccia l'errore di considerare questa offensiva come un fatto riguardante solo le donne. Si tratta certo di un'offensiva che prima di tutto riguarda il genere femminile, ma solo per ragioni di pura di strategia di attacco. Se alle donne non è concesso il diritto di disporre del proprio corpo, significa ridurre il genere femminile ad un contenitore di un'altra possibile vita, che quel corpo usa e da cui prescinde. Una donna contenitore e perciò sottomessa ad un embrione è una donna svuotata dei propri di diritti, in quanto appartenente al genere femminile.
Si pone una condizione di superiorità maschile, iscritta in un presunto ordine naturale, da cui perciò non si può prescindere. E l'ordine naturale sbandierato in ogni sede (dai salotti televisivi, fino in Piazza San Pietro), prevede un modello familiare basato sul matrimonio di un uomo con una donna. Quest'ultima, a giudizio dei depredatori di diritti civili, naturalmente inferiore in quanto portatrice di utero.

L'attacco alla 194 è uno dei tasselli, che insieme alla legge 40, alla criminalizzazione della Ru486, all'affossamento dei Pacs, e via discorrendo, sottende il tentativo di una restaurazione sociale in ordine patriarcale, dove i figli vengano educati alla religione cettolica da parte di genitori timorati di dio. Una società omologata dove non c'è spazio per le diversità, che anzi devono essere considerate elementi destabilizzanti del nuovo ordine sociale. Un ordine sociale nel quale l'accesso ai diritti individuali e civili, è sottomesso al vaglio dei fautori di un presunto ordine naturale, infarcito di dogmatismo religioso.


P.S.: in questo contesto la politica è ben consapevole della delicatezza del problema, che in questa fase di campagna elettorale può significare lo spostamento di voti determinanti. Per questo motivo, la politica generalmente tace o si posiziona in maniera pressochè equidistante, mentre occorre una posizione netta e chiara.
A tale proposito su
questo sito è possibile firmare la petizione Liberadonna, di cui riporto il testo:


A: Veltroni, Bertinotti e tutti i dirigenti del centro-sinistra

Caro Veltroni, caro Bertinotti, cari dirigenti del centro-sinistra tutti,
ora basta!
L'offensiva clericale contro le donne – spesso vera e propria crociata bigotta - ha raggiunto livelli intollerabili. Ma egualmente intollerabile appare la mancanza di reazione dello schieramento politico di centro-sinistra, che troppo spesso è addirittura condiscendenza.
Con l'oscena proposta di moratoria dell'aborto, che tratta le donne da assassine e boia, e la recente ingiunzione a rianimare i feti ultraprematuri anche contro la volontà della madre (malgrado la quasi certezza di menomazioni gravissime), i corpi delle donne sono tornati ad essere “cose”, terreno di scontro per il fanatismo religioso, oggetti sui quali esercitare potere.
Lo scorso 24 novembre centomila donne – completamente autorganizzate – hanno riempito le strade di Roma per denunciare la violenza sulle donne di una cultura patriarcale dura a morire. Queste aggressioni clericali e bigotte sono le ultime e più subdole forme della stessa violenza, mascherate dietro l’arroganza ipocrita di “difendere la vita”. Perciò non basta più, cari dirigenti del centro-sinistra, limitarsi a dire che la legge 194 non si tocca: essa è già nei fatti messa in discussione. Pretendiamo da voi una presa di posizione chiara e inequivocabile, che condanni senza mezzi termini tutti i tentativi – da qualunque pulpito provengano – di mettere a rischio l'autodeterminazione delle donne, faticosamente conquistata: il nostro diritto a dire la prima e l’ultima parola sul nostro corpo e sulle nostre gravidanze.
Esigiamo perciò che i vostri programmi (per essere anche nostri) siano espliciti: se di una revisione ha bisogno la 194 è quella di eliminare l'obiezione di coscienza, che sempre più spesso impedisce nei fatti di esercitare il nostro diritto; va resa immediatamente disponibile in tutta Italia la pillola abortiva (RU 486), perché a un dramma non debba aggiungersi una ormai evitabile sofferenza; va reso semplice e veloce l'accesso alla pillola del giorno dopo, insieme a serie campagne di contraccezione fin dalle scuole medie; va introdotto l'insegnamento dell'educazione sessuale fin dalle elementari; vanno realizzati programmi culturali e sociali di sostegno alle donne immigrate, e rafforzate le norme e i servizi a tutela della maternità (nel quadro di una politica capace di sradicare la piaga della precarietà del lavoro).
Questi sono per noi valori non negoziabili, sui quali non siamo più disposte a compromessi.

PRIME FIRMATARIE:
Simona Argentieri
Natalia Aspesi
Adriana Cavarero
Isabella Ferrari
Sabina Guzzanti
Margherita Hack
Fiorella Mannoia
Dacia Maraini
Alda Merini
Valeria Parrella
Lidia Ravera
Elisabetta Visalberghi






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giovedì 14 febbraio 2008

Ancora un colpo per la sicurezza. Prorogati i termini per la formazione sui ponteggi

Ricorderanno gli addetti ai lavori il Decreto Legislativo 235/2003, relativa ai requisiti minimi di sicurezza e di salute per l'uso delle attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori. Questo Decreto aveva modificato il Decreto Legislativo 626/94 agli articoli 36 quarter e quinques. In particolare il D.Lgs. 235/2003 sarà ricordato nell'ambiente edile, poichè in particolare è intervenuto sulla formazione obbligatoria, per mezzo di docenti qualificati, degli addetti al montaggio e smontaggio dei ponteggi e degli addetti all'impiego dei sistemi di accesso e posizionamento mediante funi. Lo stesso Decreto 235/2003, fissava anche un termine ultimo per l'erogazione della formazione (che deve comprendere una parte teorica, una pratica ed una di primo soccorso) ai suddetti lavoratori ed indicata al 19 luglio 2007.

E' evidente l'importanza che viene attribuita a tali corsi, visto che la maggior parte degli infortuni mortali nel settore delle costruzioni è causata dalla caduta dall'alto, contando oltre il 40% dei casi di morte sul lavoro nell'edilizia. Inoltre, a rimetterci la pelle sono spesso lavoratori alle prime armi, con poca o nessuna esperienza e lavoratori immigrati spesso in difficoltà con la lingua italiana. Dati insomma che evidenziano una sempre maggiore necessità di percorsi formativi adeguati.

A fronte di queste evidenze, il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, attraverso la sua Direzione Generale della Tutela delle condizioni di lavoro, ha emesso la Circolare n.3 del 25 gennaio 2008, con la quale di proroga il termine ultimo per l'erogazione della formazione stabilita con Decreto 235/2003, stabilendo che l'attività formativa deve essere svolta entro e non oltre il 23 febbraio 2009.

Così, mentre il mondo del lavoro si interroga sulle possibili soluzioni per mettere fine allo stillicidio quotidiano nei luoghi di lavoro; mentre si continua a registrare un morto sul lavoro ogni 7 ore, ogni girno della settimana, per tutto l'anno; il Ministero del Lavoro con una scelta di tempo che dire imbarazzante è poco, proroga di due anni la scadenza di attività formative obbligatorie, per un campo in cui, come detto, si registrano i maggiori drammi lavorativi.

Questa nuovo colpo inferto alla tutela dell'integrità fisica dei lavoratori, dopo i tentativi di stoppare il percorso legislativo del Decreto 123/07 da parte di Confindustria, indicano purtroppo con chiarezza che in certi ambienti della vita dei lavoratori non interessa un bel niente.

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martedì 12 febbraio 2008

Chiesta la pena capitale per sei detenuti a Guantanamo

La notizia è stata pubblicata ieri e riguarda l'annuncio da parte del Pentagono, dell'incriminazione di sei prigionieri islamici detenuti nella prigione di Guantanamo, per l'attentato dell'11 settembre 2001. La richiesta dei procuratori militari è stata la pena capitale.
I sei presunti terroristi avrebbero confessato di avere preparato l'attentato ed in particolare di avere predisposto il progetto d'attacco e di avere preso parte a tutte le fasi successive, fino all'attuazione dell'attentato, nel quale persero la vita quasi 3000 persone.
Potremmo già disquisire sul fatto che solo poche settimane fa, si è festeggiato giustamente per la moratoria ONU sulla pena di morte, mentre nessuna parola di ferma condanna è stata espressa per la richiesta di pena capitale in questo caso.Ma più che su questo aspetto, mi soffermerei su un altro in particolare: la confessione dei detenuti. Nessun riferimento mi pare di avere potuto leggere o sentire, ai metodi utilizzati per estorcere le confessioni.

Perchè non è certamente indifferente, come invece si lascia supporre, il fatto che una confessione venga rilasciata volontariamente, dopo che l'imputato si senta incastrato o invece, come in questo caso, a seguito di atroci torture.
Amnesty International racconta che cinque dei sei uomini incriminati sono stati vittime di sparizione forzata, avendo trascorso piu' di tre anni in centri di detenzione segreti della Cia, situati in luoghi sconosciuti, prima di essere trasferiti a Guantánamo nel settembre 2006. Cosa possa essere avvenuto in quei centri ancora non è dato sapere, ma è certo che i detenuti non siano stati trattati secondo criteri di tutela dei diritti umani. Inoltre la stessa Cia ha confermato che almeno uno dei sei, e' stato sottoposto alla tecnica waterboarding, o semiannegamento. Altri di loro sono stati tenuti incappucciati, nudi, sottoposti a umiliazioni sessuali, alla deprivazione sensoriale, a temperature estreme, a musica assordante e a rumore bianco.
Si potrebbe pensare - e sono certo che in molti faranno questa riflessione - che non deve avere troppa importanza il trattamento riservato ai sei imputati, visto che questi avrebbero ucciso con il loro attentato, 2973 persone innocenti. Non importa perchè - è certamente il pensiero di molti - se questo è servito per arrivare alla confessione e perciò alla verità sull'attentato ed infine alla condanna degli attentatori, ben vengano anche metodi "poco ortodossi".
A parte la mia personale ripugnanza verso le torture ed a parte il fatto che la tortura è considerata a ragione un crimine internazionale, mi chiedo chi potrebbe resistere per anni a torture fisiche e psicologiche, senza dire ciò che i torturatori vogliono sentirsi dire. In pratica, ciò che voglio dire, è che non possiamo essere certi della colpevolezza di alcuno, fintanto che il rispetto dei diritti umani non verrà affermato con certezza e fintanto che agli accusati non venga garantito un processo equo.
A questo proposito, credo sia utile tornare a leggere queste dichiarazioni, riportate dal Corriere della Sera del 14 marzo 2004.

"Noi inglesi, due anni a Guantanamo in catene imploravamo le condanne"
I tre musulmani liberati: brutalita' e pestaggi, puniti anche se cantavamo "Si cacciano i topi per non impazzire, chi non prova il suo alibi sparisce" "Per cinque mesi Iqbal costretto a restare solo con prigionieri cinesi Interrogatori di 12 ore, ammanettati al pavimento"

LA LOTTA AL TERRORISMO: "Trecento di noi sono stati ammassati in container, qualcuno sparo' per bucarlo e farci respirare, molti vennero uccisi cosi'. Quando vidi quella gente in ceppi in tuta arancione pensai a una allucinazione". "Ci dissero che eravamo stati filmati assieme a Bin Laden e al capo dei dirottatori dell' 11 settembre. Ma in quel periodo eravamo in Europa. Non ci credevano. Poi i nostri servizi segreti sono riusciti a provarlo".

"Quando mi svegliai, non avevo idea di dove fossi. Ero sdraiato sopra a dei cadaveri, respirando il fetore del sangue e dell'urina. Avevano ammassato forse 300 di noi in ciascun container, stipati cosi' stretti che le nostre ginocchia erano pressate contro il petto, quasi subito iniziammo a soffocare. Siamo sopravvissuti perche' qualcuno fece dei buchi con la mitragliatrice, anche se sparavano basso e ne sono morti ancora di piu' a causa dei proiettili. Quando uscimmo, circa 20 in ogni container erano ancora vivi".

In una casa sicura nel Sud dell'Inghilterra, il cittadino britannico Asif Iqbal racconta come e' sopravvissuto, insieme ai suoi amici Ruhal Ahmed e Shafiq Rasul (tutti e tre originari di Tipton, in Gran Bretagna), dopo un massacro compiuto in Afghanistan nell'autunno del 2001 dalle forze dell'Alleanza del Nord, spalleggiate dagli americani, l'inizio di un incubo durato 26 mesi, finito la scorsa settimana con il loro rilascio dal campo di detenzione statunitense della baia di Guantanamo.

Un giorno, forse, ci sara' qualche inchiesta su Guantanamo. Fino ad allora, alcune delle loro affermazioni - che gli Stati Uniti con tutta probabilita' smentiranno - non potranno essere confermate. Lo scorso ottobre ho trascorso quattro giorni a Guantanamo. Molto di quanto i tre uomini raccontano l'ho visto o sentito narrare da ufficiali statunitensi.

Dopo essere sopravvissuti al massacro all'interno del container, i tre sono quasi morti di fame in una prigione gestita dal signore della guerra afghano, il generale Dostum. Poi con il consenso degli ufficiali britannici, furono consegnati agli americani, prima per settimane di abusi fisici in un campo di prigionia a Kandahar, poi per oltre due anni nella desolazione di Guantanamo.

Mese dopo mese sono stati interrogati, per 12 ore alla volta o piu', dalle commissioni di sicurezza statunitensi e ripetutamente dall'Mi5. In totale, dicono, hanno sopportato ciascuno 200 "sessioni".

Le autorita' da ambo le parti dell' Atlantico sono state costrette ad accettare quello che i tre uomini hanno sostenuto per tutto questo tempo - che non sono mai stati membri delle forze talebane, di Al Qaeda o di qualsiasi altro gruppo militante. Gli americani hanno giustificato la loro prigionia sostenendo che erano "combattenti nemici", ma essi non sono mai stati armati, e non hanno combattuto.

"Formalmente ci hanno detto che stavamo tornando a casa domenica scorsa", dice Rasul. "Abbiamo avuto un ultimo incontro con l'Fbi, e hanno tentato di spingerci a firmare un pezzo di carta che diceva qualcosa del tipo che ammettevo di avere avuto legami con il terrorismo, e che se avessi mai rifatto qualcosa di simile, gli Stati Uniti avrebbero potuto arrestarmi".

Come gli altri due prigionieri liberati la settimana scorsa, Tarek Dergoul e Jamal al-Harith, i tre si sono rifiutati di farlo.

SANGUE - Sono le 3 del mattino del 13 gennaio 2002 quando Rasul, detenuto a Kandahar, viene spostato in una nuova tenda con Iqbal. La mattina seguente i loro numeri di riconoscimento furono chiamati ad alta voce e furono obbligati a starsene seduti mentre dei soldati li incatenavano stretti, li facevano sedere all'interno di una tenda e fissavano un' altra catena a un gancio nel pavimento.

Al posto delle tute blu, vennero vestiti con completi arancioni, incatenati e ammanettati e obbligati a portare dei guanti spessi, cuciti alle maniche. Poi, dice Rasul, "ci fecero sedere fuori, sulla ghiaia, mentre processavano tutti. Non ci e' stata data acqua per tutto il giorno".

Il dispositivo di controllo che ora erano costretti a indossare sarebbe diventato molto familiare per i 26 mesi successivi, il "completo tre pezzi", la cintura con una catena metallica che conduceva giu' fino ai ceppi delle gambe e a cui erano attaccate le manette.

Rasul racconta: "Dissi alla guardia che me l'avevano stretto troppo addosso, e lui rispose, sopravvivrai". In aereo vennero incatenati al pavimento senza schienali cui appoggiarsi, e persino quando chiesero di andare in bagno non furono liberati dalle catene. "Ti pisciavi tutto addosso, sulle gambe. L'unica cosa che alleviava questa deprivazione sensoriale e che mi tenne occupato nelle 22 ore di volo fu che sentivo un dolore molto forte", dice Rasul.

"Le guardie mi dicevano di dormire, ma la cintura mi stava scavando nella carne. Quando sbarcammo a Cuba, stavo sanguinando. Ho perso la sensibilita' nelle mani per i sei mesi successivi".

OBBEDIENZA - Rasul e Iqbal si trovavano sul secondo volo verso il nuovo Campo Raggi X (il primo aveva avuto luogo tre giorni prima). Quando Rasul e Iqbal atterrarono, non avevano nessuna idea di dove fossero: "Tutto quello che sapevo era che mi trovavo da qualche parte dove faceva un caldo terribile", dice Rasul.

"Una voce americana urlo': sono il sergente Tizio Caio, Marina degli Stati Uniti, state arrivando alla vostra destinazione finale. Il sole batteva senza tregua e il sudore mi colava negli occhi. Urlai per chiedere un dottore, qualcuno mi verso' dell'acqua negli occhi e poi lo sentii di nuovo: traditore, traditore".

Rasul fu l'ultimo a essere processato, e quando alla fine raggiunse la sua cella, era ormai buio. Per prima cosa venne completamente spogliato e, senza che gli venissero tolti i ceppi e le catene, ricevette un pezzo di sapone e gli fu detto di farsi una doccia, la prima dalla sua cattura.

Iqbal ricorda il momento in cui i suoi ceppi furono rimossi: "Alzo lo sguardo e vedo tutta quest'altra gente che non era ancora stata processata, in vestiti arancioni e ceppi, e penso che sto avendo un'allucinazione". Nei primi giorni trascorsi al Campo Raggi X, le condizioni di prigionia erano estreme.

Ai detenuti era proibito parlare con la persona che era nella cella a fianco e, ricorda Rasul, gli venivano somministrate minuscole porzioni di cibo: "Ti davano questo enorme piatto con un piccolissimo mucchietto di riso e pochi fagioli".

Dopo circa una settimana ai prigionieri fu permesso di parlare con i detenuti delle celle adiacenti, e poche settimane piu' tardi gli furono consegnate delle copie del Corano, un tappeto di preghiera, lenzuola e asciugamani.

Tuttavia ciascuno di loro fu testimone di attacchi brutali o ne subi' in prima persona, in modo particolare da parte della squadra anti sommossa di Guantanamo, la Extreme Reaction Force. Il suo acronimo aveva portato alla nascita di un nuovo verbo, una creazione originale dei detenuti di Guantanamo: erf-ing, "erf-are".

"Essere erf-ati, dice Rasul, significa essere sbattuti a terra da un soldato che brandisce uno scudo anti sommossa, essere inchiodati al terreno e assaliti". Iqbal e Rasul si trovavano alle estremita' opposte dello stesso blocco di celle e gli era proibito parlarsi.

Non c'era quasi niente da fare. "Il tempo passa", dice Rasul. "Fissi nel vuoto e le ore trascorrono ticchettando. Osservavi la gente e ti rendevi conto che avevano dato i numeri. Non c'era piu' niente nei loro occhi. Non parlavano".

Mentre le settimane di prigionia diventavano mesi, qualche volta vedevano degli psichiatri. La risposta era sempre la stessa: un'offerta di Prozac. Durante la mia visita a Guantanamo, lo staff medico del campo mi disse che almeno un quinto dei detenuti prendeva degli antidepressivi.


DIVIETI - Era impossibile conoscere a fondo le regole e sapere come evitare le punizioni. Solo una regola era importante, dice Rasul: "Devi obbedire a qualsiasi cosa il personale del governo statunitense ti dica di fare".

A meta' del 2002 i prigionieri vennero spostati dalle gabbie aperte con muri di rete del Campo Raggi X ai blocchi di celle metalliche prefabbricate di Camp Delta. La', la punizione standard era essere trasferiti in isolamento, nell'ala di deprivazione sensoriale. Una volta, dice Ahmed, ci fu mandato per aver scritto "Buona giornata" su una tazza di polistirene. Questo venne considerato "un danno premeditato alle proprieta' del governo americano".

In un'altra occasione fu punito per aver cantato. Le celle erano all'incirca delle dimensioni di un materasso matrimoniale, fatte di rete e metallo, esposte all'implacabile afa tropicale, senza aria condizionata. Al loro interno c'era un buco nel pavimento da utilizzare come gabinetto, un rubinetto che lasciava uscire acqua gialla e che era piazzato cosi' in basso che bisognava inginocchiarsi per usarlo, e uno stretto riparo di metallo.

A parte gli interrogatori, l'unica pausa in questa monotonia erano le docce e i 20 minuti di esercizi fisici, due o tre volte la settimana.

"Quando ci trovavamo nello stesso blocco di celle con persone che parlavano inglese, ritornavamo sulle stesse conversazioni, piu' e piu' volte", dice Ahmed. "Presto avevi esaurito tutte le possibilita', e ti ritrovavi a ripetere la stessa storia quattro o cinque volte".

Perfino questo, comunque, era meglio del blocco di punizione in isolamento, o del destino che Iqbal dovette sopportare per cinque mesi nel 2002: essere messo in un'ala in cui tutti gli altri prigionieri parlavano solo cinese.

Nel secondo semestre del 2002, gli interrogatori furono sospesi. Ma dall'inizio del 2003 gli incontri con l'Mi5, l'Fbi, la Cia e i servizi segreti militari statunitensi divennero sempre piu' frequenti.

Rasul dice: "Iniziarono a chiamarci e richiamarci, ci mostravano delle foto e ci dicevano: questo tizio dice che hai fatto questo, questo dice che hai fatto quest'altro. Quello che volevano dire era che altri detenuti stavano imbastendo delle storie che pensavano potessero aiutarli a uscire dal campo".

IL VIDEO - Gli addetti agli interrogatori utilizzavano anche lo schema del buon poliziotto e del cattivo poliziotto. "Faceva paura, anche se sapevo che cosa stavano facendo". Meno divertenti erano le condizioni in cui gli interrogatori venivano condotti.

Durante le loro "interviste", i detenuti indossavano il completo tre pezzi ed erano ammanettati al pavimento. L'estate scorsa la situazione dei tre di Tipton prese improvvisamente una brutta piega.

Gli americani avevano un video di un incontro avvenuto nell'agosto 2000 tra Osama Bin Laden e Mohamed Atta, il capo dei dirottatori dell'11 settembre. Dietro Bin Laden c'erano tre uomini, e nel maggio 2003 qualcuno sostenne che erano Iqbal, Rasul e Ahmed. Alla fine, dice Rasul, uno dei capi addetti agli interrogatori arrivo' da Washington e gli mostro' il video.

Dichiaro' con fermezza che l'uomo nel video non gli assomigliava, ne' a lui ne' ai suoi amici, e che nessuno di loro aveva mai avuto la barba. Nell'agosto 2000, quando il video era stato girato, lui stava lavorando per una filiale della catena di negozi di elettronica Curry's, ed era iscritto all'Universita' dell'Inghilterra centrale.

Un fatto, suggeri', che si poteva facilmente controllare. Invece "mi dissero che potevo aver trovato qualcuno che lavorava con me da Curry's che poteva aver falsificato i dati sul mio impiego. Arrivai al punto di non poterne semplicemente piu'. Fate quel che dovete fare, gli dissi. Me ne ero rimasto seduto la', in isolamento, per tre mesi, percio' dissi si', sono io. Andate avanti e processatemi".

Gli altri due fecero una confessione analoga.
Lo scorso settembre, fu l'Mi5 che per una volta li aiuto', quando i suoi funzionari arrivarono al campo con le prove che dimostravano che i tre non potevano trovarsi in Afghanistan nel momento relativo alle accuse.

Rasul dice: "Potevamo provare il nostro alibi. Ma che cosa succedera' agli altri, in particolare quelli che vengono da Paesi in cui dati simili potrebbero non essere disponibili?".

Per coloro che confessano, e non riescono a sostenere i loro alibi, e' in attesa un processo da parte di una commissione militare statunitense e una possibile condanna a morte. Quelli che sono stati accusati non si trovano piu' a Camp Delta, rivelano i tre uomini. Sono stati spostati in un nuovo centro di massima sicurezza, al di fuori del recinto principale, Camp Echo (Campo Eco).

Li', dicono i tre, ci sono anche i britannici Feroz Abbasi e Moazzem Begg, e l'australiano David Hicks.
Un dettaglio della vita di Hicks all'interno della baia di Guantanamo rivela i mezzi disperati escogitati dai prigionieri nel tentativo di mantenere la propria sanita' mentale.

Tiene occupata la propria mente cacciando e uccidendo topi. Piu' di un anno fa, raccontano i tre uomini, Hicks ha rinunciato all'Islam e si e' rasato la barba. Non risponde piu' al richiamo per la preghiera.

David Rose

Note:
Fonte: Corriere della sera, domenica 14 marzo 2004
(c) The Observer - Traduzione di Gabriela Jacomella


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