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martedì 8 aprile 2008

Santanchè e Bertolini, via dalle camere da letto.

La crociata integralista contro i corpi delle donne non si ferma. Nonostante le condanne nei confronti di quante hanno manifestato contro Ferrara e la sua isteria, un obiettivo la protesta certamente l'ha ottenuto. Ha fatto venire allo scoperto ancora di più, qualche esponente politco sull'argomento.
La Santanchè, ad esempio, che in ogni dove si erge a paladina delle donne, la stessa che accusa lo psiconano di vedere le donne solo orizzontali, ora difende a spada tratta Ferrara.

Addirittura dice che quelle donne che hanno manifestato a Bologna «fanno pena». Lei, la fascista orgogliosa, avrebbe voluto lanciare pomodori insieme a Ferrara. E meno male che sta dalla parte delle donne ... ho l'impressione che abbia solo provato ad infiltrarsi. Beh ... è stata scoperta.
Spostandoci verso il centro del centro-destra, la musica si fa più raffinata, ma rimane comunque stonata. Dalle parti del PdL la Bertolini promette che appena sarà eletta, presenterà un proposta di legge che permetta ai farmacisti ed ai loro collaboratori la possibilità di rifiutarsi di vendere medicinali atti a procurare l’aborto o a permettere o causare l’eutanasia. Questa promessa, la Bertolini la fa in riferimento agli scandalosi episodi accaduti a Pisa, dove alcuni farmacisti si sono astenuti dal vendere la pillola del giorno dopo a ragazze che ne avevano fatto richiesta.
In questo caso, si va oltre l'obiezione di coscienza in caso di aborto, trattandosi la pillola del giorno dopo, non di un medicinale atto a procurare l'aborto, ma un di anticoncezionale.
Sostanzialmente la Bertolini vorrebbe proporre una limitazione delle libertà molto drastica, perchè di fatto influisce anche nella sfera dei rapporti sessuali, che a quanto pare si vorrebbero finalizzati solo alla procreazione. Praticamente persone ridotte a semplici macchine da riproduzione.
Motivi per non dare il voto a queste figure già ce n'erano sicuramente, ma ora ce n'è qualcuno in più ... quanto meno evitiamo di correre in rischio di trovarcele in camera da letto, a decidere quali posizioni assumere.

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venerdì 4 aprile 2008

Preferisco i metodi della contestazione a Ferrara, rispetto ai salotti politici

Sulla contestazione nei confronti di Ferrara a Bologna, da parte di gruppi di femministe e dei movimenti in difesa della Legge 194, si sono espressi tutti gli schieramenti politici, da destra a sinistra.
Da Berlusconi a Bertinotti, passando per Veltroni, tutti hanno voluto esprimere la loro indignazione per i metodi della contestazione considerati, nei casi più clementi, ingiustificati.
Queste valutazioni del mondo politico, mi hanno confermato ancora una volta, che esistono diversi modi per contestare espressioni intolleranti come quelle di Ferrara. Esiste l'opposizione, la contestazione, le espressioni da salotto e quelle popolari; quelle da tribuna politica e quella delle piazze. Per quanto mi riguarda, preferisco le seconde alle prime. Preferisco l'irruenza di certe battaglie alla piattezza delle parole politicamente corrette; preferisco la spontaneità dei sentimenti, ai freddi calcoli elettorali.
Certo che si può discutere sui migliori metodi di lotta. Mi rendo conto perfettamente che la contestazione bolognese, ha dato a Ferrara una visibilità che forse non avrebbe potuto sperare. Ma davvero non riesco ad essere d'accordo con quanti hanno visto in quella contestazione, una limitazione alla libertà di espressione. Innanzitutto perchè la contestazione è una forma di espressione, che ha davvero bisogno di essere difesa, mentre da troppi anni viene a più riprese repressa.
Ma ciò che spesso è stato dimenticato, è l'esposizione mediatica di cui può godere Ferrara: programmi televisi, tribune politiche, giornali. In nessuno di quei contesti colti e salottieri, il movimento femminista ha potuto ribattere le proprie considerazioni. Anche quando le donne si sono organizzate per esprimere il loro pensiero nelle piazze lo scorso 24 novembre, la politica ha cercato di impadronirsi delle rivendicazioni e dell'esposizione mediatica, per farne un uso ed un consumo personale. Ed anche in questa volta, non è stato dato spazio al comunicato del TPO di Bologna, uscito dopo la contestazione a Ferrara nella piazza bolognese.
In un epoca in cui la visibilità è fondamentale affinchè un pensiero possa farsi strada, una libertà di espressione senza visibilità rimane di fatto astratta. Se nessuno può ascoltare un pensiero, il diritto di espressione rimane senza senso.
In questo contesto, di fatto sono le donne che fino ad ora si sono viste privare del diritto fondamentale della libertà di espressione.



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lunedì 3 marzo 2008

Secondo il ginecologo Travaglini per la donna abortire è come togliersi una verruca. Ho voglia di vomitare!

Quando riusciremo ad evitare gli sforzi di votimo, nel sentire certe dichiarazioni? Spero mai, perchè mi auguro che all'indecenza di certe affermazioni, nessuno si possa abituare.Comunque, non occorre un grande sforzo per riuscire a provare sdegno, nel leggere dichiarazioni come quelle che il ginecoloco Tarantini, a rilasciato in un'intervista pubblicata oggi su Quotidiano Nazionale.
Secondo Tarantini, «per molte donne abortite è come togliersi una verruca». Sapete quale sarebbe, secondo lo stesso ginecologo, la soluzione a quasta "faciloneria" femminile?

Semplice, fare «pagare l'aborto a chi vi ricorre dalla seconda volta in poi» dice Tarantini. Il ginecologo, però, nonostante il suo quasi disprezzo per la pratica dell'interruzione volontaria di gravidanza, continua comunque a fare aborti, «perchè per fortuna non tutte le donne sono così», dice.
Ancora una volta, le donne sono viste come persone che giocano con la vita e con la morte di altri esseri umani. Ed facile fare due più due, quando Tarantini, alla domanda se un embrione è vita, risponde senza dubbio alcuno: «E' vita, è vita». Ed il risultato è ovvio, anche dopo alcune frasi in riferimento al "non stare attenti" durante i rapporti sessuali. Se l'embrione è vita e la donna vede l'embrione come una verruca, vuole dire che la donna, nel "divertirsi" con il proprio compagno, si gode la vita a prezzo di quella di un bambino. E' questo in sintesi il concetto espresso da Travaglini.
La donna, vista come un essere cinico, che è capace di uccide con facilità. La soluzione proposta è di fare pagare, come fosse un giro di giostra, quello che Tarantini giudica il frutto di una superficialità femminile.
Riuscite a trattenere il vomito?

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giovedì 28 febbraio 2008

Ognuno decida quando far cominciare una nuova vita. Ma alla donna rimanga il diritto di scelta

Ho fatto oggi una piccola carrellata delle testate giornalistiche sul tema dell'aborto ed ho notato che dopo il via libera da parte dell'Aifa alla RU486, una parte della stampa si sta concentrando ancora di più - se possibile - sull'aspetto del diritto alla vita.
Dalla piccola rassegna stampa di oggi, sono stato colpito in particolar modo da due articoli. Uno di questi è a firma di Enrico Garaci, presidente dell'Istituto Superiore di Sanità e pubblicato sull'Avvenire, con il quale egli sostiene, dalla sua posizione istituzionale, che «non sono possibili mediazioni su valori come quelli che riguardano il significato della parola vita». L'altro articolo è apparso su Il Tirreno, è firmato da Rita Piombanti ed è una lettera aperta a chi vuole abortire, dal titolo "Non si può negare la vita". Il concetto di questa lettera è tutto raccolto in questa frase che l'articolista rivolge ad una donna: «Scusa se userò il verbo "uccidere" che sicuramente non ti è gradito ma lui, tuo figlio, è un essere vivente a tutti gli effetti. Già, vivente».

Ora, si capisce bene che i concetti espressi in quelle frasi, che sono la sintesi di un pensiero che si sta cercando da più parti di divulgare e fare passare, tendono ad indurre nella donna un senso di colpa per un gesto che si vuole paragonare all'omicidio.

Si richiama fortemente un diritto alla vita, che si vuole contrapposto a quello della libera scelta da parte della donna. Il diritto alla vita del nascituro contro il diritto della donna all'autodeterminazione sul proprio corpo. E' ovvio che se si assume per certo che il nascituro è un essere vivente fin dal suo concepimento e per l'aborto di utilizza il termine uccidere, chi pratica l'interruzione volontaria di gravidanza è un'omicida.

Non si può stabilire una volta per sempre e per ognuno, in quale stadio del suo sviluppo una vita possa essere considerata tale. Allora, che ogni persona, secondo la propria etica, cultura, religione o esperienza che si voglia, stabilisca per sè e per nessun altra, cosa considerare vita: se già un embrione, se il feto o il suo seguito.
Ciò che invece rimane inconfutabile, è che nella stessa natura umana è stabilita l'impossibilità dello sviluppo di una possibile nuova vita, senza l'accettazione di essa da parte della donna.
Se è vera come è vera quest'ultima affermazione, significa che non può esserci vita a prescindere dal corpo materno, sul quale la donna deve avere libertà di scelta. Non può esiste quindi sviluppo di una possibile nuova vita senza che la donna non decida che possa esserci. L'embrione nel grembo materno non è perciò una nuova vita, ma la possibilità di una nuova vita, che esiste (la possibilità) solo in quanto legata al corpo della donna la quale, in quanto portatrice di diritti, deve liberamente poter scegliere cosa fare del proprio corpo.

Non si può perciò continuare a recitare il refrain secondo il quale, poichè un embrione si sta sviluppando nel grembo materno, quell'embrione "deve" diventare una nuova vita autonoma.
Non può essere contrapposto al reale e certo diritto della donna all'autodeterminazione, un diritto alla vita che non dipende da nient'altro, ma sussiste in sé e per sé.

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mercoledì 27 febbraio 2008

Via libera alla RU486. Nuovi vergognosi attacchi dagli antiabortisti

L'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha dato il primo via libera alla commercializzazione in Italia della pillola abortiva Ru486. La commissione tecnico-scientifica (Cts) dell'Aifa ha infatti fornito parere favorevole alla richiesta di autorizzazione al commercio, attraverso la procedura di mutuo riconoscimento, che coinvolge anche altri Paesi europei, per la RU486.(fonte corriere.it)

Finalmente e, per dirla con il ginecoloco torinese Silvio Viale, promotore della sperimentazione della RU486, «Finalmente finisce il bluff di chi la chiamava "pesticida umano" o "diserbante chimico"».
Che la RU486 sia un farmaco, è stato spero chiarito una volta per tutte e «sarà utilizzato per gli aborti nell'ambito della legge 194», chiarisce ancora Viale.

Ma credo che saranno comunque prevedibili gli attacchi delle frange antiabortiste.

Credo di poter già immaginare le frasi con le quali, nei confronti di donne che sceglieranno di abortire ed alle quali sarà data possibilità di utilizzare la RU486, saranno lanciate accuse di "avvelenamento dei figli".
Non appaia esagerato. Finora i difensori della vita, scagliati contro il diritto di scelta della donna, hanno già raffigurato quante ricorrevano all'interruzione volontaria di gravidanza, come delle assassine. Hanno finora già individuato le omicide, descritto il movente ed ora vedranno la RU486 come un'arma del delitto. Raffigurazione vomitevole al solo pensiero!

In fondo già il presidente dei deputati dell'UDC, Luca Volontè ha detto testualmente: «Trasformare l’utero femminile in camera a gas è solo una barbarie».
Capite? Non più solo la raffigurazione della donna, incappucciata come un boia, pronta a fare cadere la scure sulla testa di un bambino. L'offessiva antiabortista, si spinge ora fino a rappresentare la donna che ricorre all'aborto come una sorta di gerarca nazista, che spietatamente si appresta ad aprire i rubinetti del gas, per soffocare delle vite umane. Riuscite a pensare a qualcosa di più abominevole?

Mi chiedo quale sia il supposto secondo il quale, una donna che scelga di non fare sviluppare una possibile nuova vita attraverso il proprio corpo (attenzione: non sviluppare una possibile vita ed uccidere sono concetti profodamente differenti), debba per questo essere condannata a soffrire.
Cercare di impedire la promozione "dell'uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell'integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l'interruzione della gravidanza", come stabilito dall'articolo 15 della legge 194, significa voler condannare la donna ad una sofferenza fisica, da aggiungere alla sofferenza psihica. Ma la sofferenza psichica non è visibile, mentre quella fisica può essere messa in bella mostra ed essere da esempio.

Allora forse è questo che si vuole: esibire le condanna alla sofferenza per le donne che interrompono una gravidanza, che si vorrebbero vergognose della loro scelta. Sarebbero esempi per quante si dovessero trovare a dover fare scelte simili, proprio come avviene nei peggiori totalitarismi.
Questa sì, che è una barbarie!

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mercoledì 20 febbraio 2008

Medici obiettori: è ora di dire basta!

Più il dibattito sull'aborto va avanti, più mi accorgo di quanto quella parte di opinione antiabortista, spesso cattolica ed a volte atea devota, ipocritamente si ponga a difesa del presunto diritto di obiezione di coscienza dei medici.
Tale possibilità, oggi concessa ai medici, mette in chiara difficoltà le donne che per un motivo o per un altro, decidono di abortire. Tale libertà concessa ai medici, di fatto limita la possibilità per le donne, di poter pienamente e liberamente disporre del proprio corpo e di scegliere se vivere una maternità.
E' conosciuta ed è scandalosa l'alta percentuale di medici obiettori presenti nelle strutture sanitarie, che a volte addirittura raggiunge il 100%, obbligando le donne, quando non hanno la possibilità di recarsi in altra struttura, perchè magari troppo lontana e/o economicamente non accessibile, a ricorrere a metodi abortivi pericolosi per la loro stessa vita.

La normativa attuale consente al medico di proclamarsi obiettore di coscienza e di praticare questa scelta. Ma le stesse norme, obbligano le strutture sanitarie a garantire la pratica dell'interruzione di gravidanza. Quest'ultima parte è ovviamente spesso disattesa, ma in pochi ne parlano.
Per quanto mi riguarda, io credo che la professione medica è incompatibile con l'obiezione di coscienza. Se si pensa di dover obiettare contro obblighi professionali, semplicemente deve scegliere di praticare un'altra professione.
Io stesso sono stato e sono un obiettore di coscienza, non dal punto di vista medico, ma da quello militare. La mia coscienza obietta contro l'uso delle armi e perciò ho fatto servizio civile. Ho esercitato il mio diritto all'obiezione di coscienza, ma insieme ad esso ho rinunciato (volentieri, volente ed in coscienza) alla possibilità di praticare una qualunque professione che preveda l'utilizzo di armi.
Stessa cosa credo debba essere per chi obietta contro degli obblighi professionali. Contestualmente all'obiezione nei confronti di determinati obblighi, si rinuncia all'esercizio della specifica professione.Altrimenti, chi accetta che ad un medico cattolico o ateo devoto, nonostante gli obblighi impostogli dalla professione, debba essere garantito il diritto all'obiezione di coscienza e per questo possa rifiutare di praticare un intervento di interruzione di gravidanza, dovrebbe accettare allo stesso modo altri ipotetici casi analoghi. Non credo che tra quanti ritengono che l'obiezione di coscienza di un medico debba essere garantita, continuerebbero a pensarla allo stesso modo se, trovandosi malauguratamente di fronte alla necessità di una trasfusione, questa gli venisse negata da un medico testimone di Geova. Non oso immaginare la reazione di una persona che abbia bisogno di un itervento urgente, ma si trovasse nell'impossibilità di essere operato perchè il medico di turno è musulmano ed in coscienza di fede non può intervenire su una persona di sesso opposto.
Onestamente non credo che in casi come quelli descritti sopra, ci troveremmo di fronte alla stessa nutrita schiera di difensori dell'obiezione di coscienza medica.

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martedì 19 febbraio 2008

Anche Maria ha potuto scegliere sulla propria maternità

Sollecitato da una prima pagina del quotidiano "Liberazione", nella quale era raffigurata l'Annunciazione di Da Vinci (la stessa che ho riportato qui sopra), ho voluto provare a riflettere sull'importanza della volontà della donna, sul portare avanti una gravidanza, anche dal punto di vista cattolico.
Da ateo quale sono, sono già pienamente convinto che alla donna, debba essere assolutamente riconosciuto il diritto di poter liberamente disporre del proprio corpo. Un diritto che non può essere limitato per il fatto di possedere un utero. La dignità della donna, non può essere sottomessa al supposto diritto di un embrione.
Ma appunto, ho pensato di poter facilmente ragionare in questi termini, per il fatto che non credo nell'esistenza di un dio.

La curiosità e la voglia di conoscere e di confrontarmi, mi hanno portato perciò a leggere ed a capirne il significato, di alcuni passi del Vangelo di Luca. Nella lettura mi sono aiutato con la lettura dell'interpretazione del significato degli stessi passi, dato da studiosi cattolici, riscontrabili anche nel web.
Quello che viene fuori, mi pare, è che in materia di volontà della donna sulla gravidanza, il Vaticano assuma una posizione diversa rispetto a quanto descritto dal Vangelo di Luca.

Nell'annunciazione del Vangelo secondo Luca, l'angelo Gabriele si rivolge a Maria dicendo: "Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te". Con quel rallegrati Dio, attraverso l'angelo, invita Maria a gioire per la maternità che l'aspetta. Era richiesta a Maria una disposizione essenziale per la cooperazione con Dio nell'opera che si stava compiendo. Senza una vera gioia personale di Maria, non avrebbe potuto essere compiuta l'opera divina, cioè non avrebbe potuto Maria essere madre del figlio di Dio.
Dio ha chiesto a Maria il suo consenso per portare a termine il proprio disegno e questa era libera di poter sciegliere. Non una costrizione quindi, alla volontà divina, per cui non avrebbe avuto senso l'invito a rallegrarsi rivoltole dall'angelo Gabriele. Senza il consenso di Maria, l'incarnazione di Dio non avrebbe potuto essereci.
La stessa risposta di Maria "Avvenga per me come tu hai detto", sottintende non soltanto una volontà della donna conforme al volere divino, ma il desiderio di perseguire la volontà divina, che è poi il desiderio e la volontà di portare in grembo e dare alla luce il figlio di Dio.

Se persino Dio si è inchinato alla volontà di una donna, di portare in grembo e dare alla luce il proprio figlio, affinchè si potesse realizzare un disegno divino che avrebbe coinvolto tutta l'umanità, che possono uomini in carne ed ossa, in nome di Dio, essere tanto presuntuosi da limitare la libertà femminile si decidere sul e del proprio corpo?

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