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lunedì 25 maggio 2009

Non si combatte la mafia riducendo gli spazi di democrazia

Per sconfiggere la mafia, c'è bisogno di un esercito ... di insegnanti. Lo diceva Giovanni Falcone, che aveva capito molto prima di altri, che la mafia è un sistema e come tale deve essere combattuta. Giovanni Falcone sapeva e denunciava che innanzitutto si deve lottare contro la mafiosità quotidiana, che si alimenta di disagio sociale che comincia della dequalificazione della scuola pubblica. Perchè la mafia può contare sul consenso solo quando alimentato dall'ignoranza.
Il sapere, la cultura, l'istruzione, sono argini che possono fermare lo straripare del sistema mafioso, che altrimenti rimane libero inondare ogni settore della vita sociale, civile e privata. Perciò, se quegli argini vengono abbattuti, se quella prima e fondamentale barriera al dilagare del sistema mafioso viene eliminata, la mafia non può che esserne contenta. Se pertanto la scuola viene dequalificata, la mafia non può che ringraziare chi quell'operazione di dequalificazione porta avanti.

In questo senso, è innegabile che le politiche in materia di scuola pubblica portate avanti dai vari governi da molti anni a questa parte, non possono essere un argine al sistema mafioso, dal momento in cui: sottraggono risorse finanziarie alla scuola, mentre destinano soldi pubblici alla scuola privata; aumentano il numero di studenti per classe peggiorando inevitabilmente la qualità dell'insegnamento; licenziano migliaia di insegnati; riducono le ore di attività scolastica orientate ad attività sociali, di aggregazione e di crescita. Una condizione di progressivo degrado della scuola pubblica con l'obiettivo dell'annullamento del suo valore sociale. Una condizione che ognuno che possa dirsi sinceramente contro la mafia, ha il dovere di denunciare. Sia esso un singolo cittadino, un'associazione, un partito politico o un sindacato.

Questo i Cobas hanno fatto a Palermo il 23 maggio, durante la commemorazione del diciassettesimo anniversario della strage di Capaci, davanti all’albero Falcone in via Notarbartolo. Lo hanno fatto sabato scorso come lo fanno da 9 anni, con lo stesso vecchio striscione, ancora drammaticamente attuale anche se logorato dal tempo e che recita: "LA MAFIA RINGRANZIA LO STATO PER LA MORTE DELLA SCUOLA". Quest'anno, però, quello striscione a qualcuno non è piaciuto e quella denuncia, tanto forte quanto reale, non è sembrata opportuna. Così quello striscione è stato fatto ritirare e tre aderenti ai Cobas sono stati costretti a commemorare la strage di Capaci tra le mura della questura di Palermo, con l'accusa di manifestazione non autorizzata, vilipendio allo Stato e resistenza a pubblico ufficiale. Purtroppo, sembra che ad invitare la polizia ad intervenire, sia stata l’associazione della sorella del giudice Falcone, probabilmente ritenendo la manifestazione un fatto privato, ad appannaggio esclusivo degli organizzatori. Se così fosse, ci troveremmo di fronte ad una privatizzazione della memoria collettiva per le vittime di mafia. Le manifestazioni contro il sistema mafioso sarebbero trasformate in occasioni di ritrovo istituzionale, a cui pezzi di società civile sono invitati a partecipare senza esprimersi. Senza possibilità di far sentire il proprio dissenso, senza possibilità, quindi, di esercitare pienamente il proprio diritto di espressione. Ma non si può pensare di combattare la mafia riducendo gli spazi di democrazia. Non si può lottare contro il sistema mafioso, senza combattere per l'affermazione di diritti fondamentali, come quello di una scuola pubblica qualificata che sappia garantire la conoscenza.

Sabato a Palermo, durante la commemorazione del diciassettesimo anniversario della strage di Capaci, davanti all’albero Falcone in via Notarbartolo, tre lavoratori della scuola aderenti ai Cobas si sono espressi contro la mafia e per l'affermazione di una scuola pubblica degna di questo nome, come argine al sistema mafioso. Ma hanno detto loro che era meglio stare zitti. E lo hanno fatto con un pessimo stile...

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venerdì 31 ottobre 2008

L'Onda non può essere cavalcata da destra

Sugli scontri avvenuti in Piazza Navona a Roma, si è detto tanto. Esistono numerosi video che mostrano come sono andate le cose. Con i fascisti del Blocco Studentesco che, indipendentemente dalla sequenza dei fatti e per quanto si sforzino di affermare una loro "legittima difesa", erano gli unici in piazza ad essere organizzati per picchiare. Sono stati scritti numerosi articoli sulla strana distrazione della polizia sull'accaduto, e sul fatto che agenti di polizia chiamassero per nome i fascisti del Blocco Studentesco. Normali stranezze del nostro Paese, che va scordandosi il concetto di democrazia.
Al di là di ogni altra considerazione, le recenti manifestazioni (scontri compresi) hanno dimostrato una cosa: quella contro la riforma Gelmini ed i tagli alle univesrità, non è una lotta a-politica. Non può esserlo. Speriamo continui ad essere un'Onda libera dai frangiflutti delle eventuali strumentalizzazioni, da ovunque esse provengano. Ma la politica c'entra eccome.

La consapevolezza di questo movimento, è tale che, non di sola opposizione alla Legge 133 ed il Decreto 137 è fatta la sua protesta. Semmai dalla opposizione a quegli sciagurati provvedimenti del governo, il movimento ripropone una scuola ed una università che siano pubbliche e di qualità. Questa Onda vuole un'istruzione che sia un diritto realmente usufruibile da tutti, senza alcune distinzione di carattere sociale. Questo movimento sta rivendicando il diritto all'accessibilità dei saperi per tutti, la libera circolazione delle conoscenze. E poi chiede una reale e compiuta democrazia negli istituti e negli atenei e manifesta per il riconoscimento di un reddito di formazione. Questo movimento sa bene che la riforma Gelmini ed i tagli di Tremonti, non sono che il primo passo verso la negazione di ognuna di quelle rivendicazioni.

Ma quei provvedimenti sono anche la faccia dell'istruzione modello liberista, svincolato dalle garanzie costituzionali. La 133 e la 137 rappresentano il tentativo di mercificare la cultura, di negazione di diritti fondamentali e perciò di negazione della democrazia sostanziale. Oltre a presentarsi con un tentativo concreto di abbattimento dello stato sociale.
In sintesi, il governo con i suoi decreti sulla scuola e sull'università, sta disegnando la società che vorrebbe realizzare: classista, a-democratica, autoritaria e xenofoba. Un modello che è lo specchio di una destra conservatrice, reazionaria ed ultraliberista. Ed è anche a questo modello sociale che l'Onda si sta opponendo.
E' per questo che quest'Onda non può essere cavalcata da destra.

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giovedì 23 ottobre 2008

Ora il re (Silvio IV) è nudo ... ed ha paura.

L'arroganza del potere non ha spaventato studenti ed insegnanti in lotta. Dalla scalinata della facoltà di lettere e filosofia de La Sapienza, si sente urlare "Noi non abbiamo paura di Berlusconi e non abbiamo paura della Gelmini". Il movimento nato dalla protesta contro la riforma della scuola e delle università targata Gelmini, non teme le minaccie di Berlusconi.
Ed ora il re (Silvio IV) è nudo. Ha gettato definitivamente la maschera. Si è mostrato in tutta la sua versione reazionaria. Sotto il doppiopetto si scorge ormai la divisa. E come nella fiaba di Andersen, mentre una gran folla di cittadini e cortigiani elogia le politiche berlusconiane di decisionismo e tolleranza zero, l'incantesimo si spezza davanti agli occhi dei più giovani, che gridano quello che altri non vogliono vedere: una politica fatta a servizio di pochi, contro i diritti di tutti gli altri.

Adesso è il re ad avere paura. Ora ha (deve) avere paura del giudizio dei cittadini. Ora il re e la sua corte temono di dover indietrggiare. Perchè se non passerà la riforma della scuola, se la Gelmini sarà costretta a dimettersi dalla carica di ministro, il governo avrà perso una battaglia importante. Una sconfitta politica sulla riforma della scuola e delle università, potrebbe trascinare con sè l'intero impianto conservatore di questo governo.
Nella riforma scolastica sono infatti racchiusi i peggiori elementi reazionari, delle politiche di questo governo di parrucconi: diritti a pagamento; razzismo; restaurazione; sostegno al capitalismo; svuotamento del servizio pubblico; privatizzazioni; licenziamenti; precarietà; ...
Ora il re ha paura, perchè essendo rimasto nudo teme che anche tutti gli altri possano vederlo senza vesti. Così alla lotta contro la riforma della scuola e delle università, potrebbero unirsi i lavoratori, i precari, i pensionati. Potrebbe nascere un movimento che comprenda, oltre agli studenti, anche il mondo del lavoro e delle reti antirazziste, uniti a chi lotta in difesa del territorio contro scempi ambientali, insieme alla sinistra extraparlamentare. Augurando magari a Veltroni ed il suo PD, un risveglio dallo stato di allucinazione politica nel quale si sono trascinati, che fa vedere loro re Silvio IV ancora in doppiopetto. Magari solo un po' sbottonato.

Re Silvio IV ora ha paura, perchè sa bene che se gli studenti gridano tanto forte da svegliare dall'ipnosi la maggioranza dei cittadini, questa comincerà a guardare lui anzichè l'abito che si è fatto cucire addosso.

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lunedì 21 luglio 2008

Michele Fabiani esce dal carcere. Ma continua la battaglia per la verità e la libertà

Michele Fabiani è un giovane anarchico di Spoleto. Fu arrestato il 23 ottobre 2007 insieme a quattro suoi amici: Andrea Di Nucci, Dario Polinori, Damiano Corrias e Fabrizio Reali Roscini; nell'ambito della cosidetta "Operazione Brushwood" con l'accusa di far farte di una cellula anarco-insurrezionalista denominata COOP-FAI.
Dal blog Liberate Michele Fabiani sono felice di apprendere che a Michele sono stati almeno concessi i domiciliari, dopo aver passato quasi 9 mesi in carcere, 100 giorni di isolamento a Perugia e la detenzione in EIV a Sulmona.
E' stato fatto un importante passo avanti. Almeno gli occhi di Michele potranno ora osservare oltre le grigia mura di un carcere. Non significa però che la repressione ai suoi danni sia conclusa, perchè di fatto la verità non è ancora venuta a galla e di fatto non gli è stata ancora restituita la libertà.

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martedì 15 luglio 2008

Sentenza Bolzaneto: il gattopardo in tribunale

Mai era avvenuto nella storia dell'Italia repubblicana, che un gruppo sostanzioso di responsabili delle forze dell'ordine (oltre che di personale sanitario) fosse condannato da un tribunale. E' accaduto per la prima volta per il processo sulle infami violenze avvenute nella caserma di Bolzaneto, durante il G8 di Genova del luglio 2001: dopo 11 ore di camera di consiglio, il tribunale di Genova ha condannato 15 dei 45 imputati a ventitre anni e nove mesi di reclusione, contro la richiesta dei pm di condanne per oltre 76 anni di carcere.

Si può essere dunque soddisfatti di questa sentenza? Si può perciò dire che è stata fatta giustizia, almeno in parte? Certo, di fatto è stato confermato che in quella caserma sono avvenute delle violenze, ed è stata riconosciuta una responsabilità di certi funzionari. Sembra poi di poter leggere nella sentenza del tribunale di Genova un riferimento a responsabilità politiche, nelle violenze avvenute a Bolzaneto, visto che il ministero dell'interno è stato condannato a risarcire le vittime di quelle violenze.
E allora ripeto la domanda: si può essere dunque soddisfatti di questa sentenza? No! E' la mia risposta. Non tanto perchè i condannati non faranno nemmeno un giorno di carcere, grazie anche alla prescrizione del reato. Questa sentenza rimane ingiusta perchè vi si legge il tentativo di far credere che i colpevoli di reati del genere non rimangono impuniti, ma nel frattempo si mantengono di fatto posizioni di privilegio, che consentono a chi si trova su certo lato della barricata, di godere di una certa "libertà di azione", permessa anche quando questa limita arbitrariamente l'altrui libertà ed i diritti fondamentali della persona.
Un atteggiamento gattopardesco che ha permesso la prescrizione di reati gravissimi ed addirittura di considerarli lievi, e che spesso ha consentito la promozione di funzionari imputati nei processi sulle violenze del G8 genovese. Un atteggiamento favorito da una politica "distratta", che non si è accorta della portata dell'intera vicenda e che non ha mai ritenuto necessario introdurre nel codice penale il reato di tortura, a più di vent'anni dalla ratifica della convenzione Onu che vieta la tortura.
Un'atteggiamento che ancora nasconde le responsabilità politiche sulle violenze poliziesche avvenute nelle piazze della manifestazione no-global, sulle torture di Bolzaneto e sulla macelleria messicana della scuola Diaz. Ed in questo clima, nel quale anche i media enfatizzano le assoluzioni titolando che non ci fu tortura, piuttosto che informare sulle condanne, non si può essere troppo ottimisti nemmeno sulla prossima sentenza sull'irruzione alla scuola Diaz.

Forse la sentenza sui fatti di Bolzaneto è stato fatto un piccolo passo avanti, ma la verità e la giustizia su quanto avvenuto a Genova nel luglio 2001, sono ancora lontani dall'essere raggiunti. Ed intanto lo stato di diritto e la democrazia reale nel nostro Paese, appaiono ancora concetti astratti.

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venerdì 20 giugno 2008

Il progetto Dal Molin è illegale. Lo ha stabilito il TAR

Ora lo ha stabilito anche il TAR del Veneto: illegale è il governo USA, illegale è il governo italiano. Hanno ragione i vicentini, e tutti quanti si sono opposti alla costruzione della nuova base militare americana a Vicenza.
Il Tar del Veneto ha detto no alla costruzione della nuova base militare americana, perchè i cittadini non sono stati consultati, nonostante la consultazione dei cittadini fosse prevista dal memorandum Usa-Italia, con il quale si era il governo italiano aveva accettato le richieste USA.

Ma non è tutto. Nella sentenza si legge anche che un'altra importante motivazione, sul no del TAR al raddoppio della base militare Dal Molin: sono emersi infatti anche «gravi dubbi sulla Vinca» (la valutazione di incidenza ambientale). In pratica, il TAR ha avanzato forti perplessità sulla corretta valutazione dell'incidenza che la cementificazione e lo sfruttamento di risorse di quel territorio, avrebbe avuto sull'ambiente.
Sono stati smascherati coloro che avrebbero voluto distruggere un territorio, per creare un nuovo avamposto alla guerra permanente. Avevano ragione i cittadini ed i movimenti pacifisti, che vedevano nella costruzione della nuova base, una violazione dell'artiicolo 11 della nostra Costituzione. Avevano ragione tutti i cittadini di Vicenza a temere per i pericoli reali per l'ambiente, che sarebbero derivati dal getto di migliaia di metri cubi di cemento. Ed avevano ragione a chiedere un referendum cittadino, per avere parola e poter decidere delle sorti della proprio territorio.

La lotta dei No-Dal Molin è stata ed è, una lotta contro il tentativo di scippo di un terriorio, che avrebbe favorito un'economia di guerra. Con questa sentenza ai vicentini è stato restituito il diritto ad essere sovrani dell'utilizzo consapevole del proprio territorio. Una sovranità che dovrebbe permettere alla popolazione di potere liberamente scegliere come vivere un determinato luogo.
Certamente non è finita qui, perchè ci sarà chi tenterà di affossare questa sentenza. Ma oggi nutro qualche speranza in più, di vedere ristabilito un ordine realmente democratico in questo nostro malato Paese.

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martedì 15 aprile 2008

Sinistra, ridivenda straccio ...

E ora che la sinistra è sparita dal parlamento italiano? Ora, credo, occorrerà rimboccarsi le maniche, sporcarsi le mani e stare nella società reale. Adesso la sinistra sarà costretta ad alzarsi dalle poltrone dei salotti televisivi e tornare al dialogo diretto.
Perchè non credo che con queste elezioni sia scomparsa la sinistra. E' scomparsa "solo" la sua rappresentanza nelle istituzioni.
Chi può dire che non esiste più in Italia un ambito nel quale si muovono le istanze di solidarietà, il ripudio della guerra, le rivendicazioni di un lavoro non precario ed in sicurezza, la tutela dell'ambiente, la difesa dei diritti e della laicità dello Stato?
Non credo che le migliaia di persone che hanno affollato le piazze di Roma il 20 ottobre 2007; che hanno riempito le strade di Vicenza contro la base militare USA, il 17 febbraio 2007; che hanno sfilato contro la violenza sulle donne lo scorso 24 novembre; fino alle manifestazioni per la difesa del territorio e quelle a salvaguardia della laicità dello Stato anche durante questa campagna elettorale; non credo, dicevo, che tutte quelle persone e tutte quelle idee, si siano disperse o addirittura estinte.
Si pone perciò un problema di rappresentanza, nel senso che i partiti della sinistra non hanno saputo farsi carico nelle istituzioni di quelle istanze che provengono dal basso.
E torno alla domanda iniziale: e ora? Ora, credo che la sinistra debba smettere di guardare a se stessa, deve abbandonare l'autoreferenzialità di cui si è macchiata in questi anni e tornare a contaminarsi realmente con i movimenti e con la sua base sociale, da co-protagonisti nel conflitto sociale, per contribuire all'organizzazione di una massa critica, che possa efficacemente contrastare le prossime politiche antisociali, xenofobobe e clericali.


Per dirla con Pasolini ...

Alla bandiera rossa

Per chi conosce solo il tuo colore,
bandiera rossa,
tu devi realmente esistere, perché lui
esista:
chi era coperto di croste è coperto di
piaghe,
il bracciante diventa mendicante,
il napoletano calabrese, il calabrese
africano,
l’analfabeta una bufala o un cane.
Chi conosceva appena il tuo colore,
bandiera rossa,
sta per non conoscerti più, neanche coi
sensi:
tu che già vanti tante glorie borghesi e
operaie,
ridiventa straccio, e il più povero ti
sventoli.


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venerdì 4 aprile 2008

Preferisco i metodi della contestazione a Ferrara, rispetto ai salotti politici

Sulla contestazione nei confronti di Ferrara a Bologna, da parte di gruppi di femministe e dei movimenti in difesa della Legge 194, si sono espressi tutti gli schieramenti politici, da destra a sinistra.
Da Berlusconi a Bertinotti, passando per Veltroni, tutti hanno voluto esprimere la loro indignazione per i metodi della contestazione considerati, nei casi più clementi, ingiustificati.
Queste valutazioni del mondo politico, mi hanno confermato ancora una volta, che esistono diversi modi per contestare espressioni intolleranti come quelle di Ferrara. Esiste l'opposizione, la contestazione, le espressioni da salotto e quelle popolari; quelle da tribuna politica e quella delle piazze. Per quanto mi riguarda, preferisco le seconde alle prime. Preferisco l'irruenza di certe battaglie alla piattezza delle parole politicamente corrette; preferisco la spontaneità dei sentimenti, ai freddi calcoli elettorali.
Certo che si può discutere sui migliori metodi di lotta. Mi rendo conto perfettamente che la contestazione bolognese, ha dato a Ferrara una visibilità che forse non avrebbe potuto sperare. Ma davvero non riesco ad essere d'accordo con quanti hanno visto in quella contestazione, una limitazione alla libertà di espressione. Innanzitutto perchè la contestazione è una forma di espressione, che ha davvero bisogno di essere difesa, mentre da troppi anni viene a più riprese repressa.
Ma ciò che spesso è stato dimenticato, è l'esposizione mediatica di cui può godere Ferrara: programmi televisi, tribune politiche, giornali. In nessuno di quei contesti colti e salottieri, il movimento femminista ha potuto ribattere le proprie considerazioni. Anche quando le donne si sono organizzate per esprimere il loro pensiero nelle piazze lo scorso 24 novembre, la politica ha cercato di impadronirsi delle rivendicazioni e dell'esposizione mediatica, per farne un uso ed un consumo personale. Ed anche in questa volta, non è stato dato spazio al comunicato del TPO di Bologna, uscito dopo la contestazione a Ferrara nella piazza bolognese.
In un epoca in cui la visibilità è fondamentale affinchè un pensiero possa farsi strada, una libertà di espressione senza visibilità rimane di fatto astratta. Se nessuno può ascoltare un pensiero, il diritto di espressione rimane senza senso.
In questo contesto, di fatto sono le donne che fino ad ora si sono viste privare del diritto fondamentale della libertà di espressione.



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martedì 18 marzo 2008

I giochi olimpici oscureranno la repressione

Come in ogni azione di repressione da parte di un determinato potere, anche per la vicenda tibetana di questi giorni, è in corso una vera e propria propaganda. Così, mentre il Dalai Lama accusa il governo cinese di compiere un «genocidio culturale», il primo ministro cinese parla di rivoltosi che hanno compiuto «saccheggi e incendi» ed hanno ucciso «in modo estremamente crudele cittadini innocenti». Intanto il governo cinese ha ora propibito l'accesso internet al sito Youtube, dopo che in rete sono comparsi diversi filamti amatoriali sulla repressione cinese in Tibet.
Rimane la certezza di una violenta e sistematica violezione dei diritti umani nei confrotni dei Tibetani, per le quali in questi giorni si elevano indignazioni da più parti. Ma alzi la mano chi conosce reali e concrete manifestazioni di protesta o presa di posizioni da parte di governi o altri centri di potere, che non siano semplici parole di condanna.

Nessuno di quei potentati che si mettono in fila per esprimere a turno parole di condanna, hanno mai fatto notare un'incrinazione nei rapporti politici ed economici con la Cina. Non è conveniente visto che, seppure si notano rallentamenti nell'economia cinese, rimane pur sempre un mercato da continuare a sfruttare. Dove poter importare prodotti per una popolazione molto numerosa; dove poter impiantare ancora per un po' fabbriche con mano d'opera a basso costo; dove quest'anno si svolgeranno le olimpiadi, fonte di guadagno per diversi poteri economici.
Sembra infatti siano stati spesi, per i prossimi giochi olimpici, circa 37 miliardi di dollari e di più ne frutteranno, secondo le stime. E' difficile allora immaginare un boicottaggio delle prossime olimpiadi. Potrebbe darsi che qualche atleta, spinto da personali convinzioni, decida non partecipare, ma resterebbe un caso isolato, che produrrebbe al più un piccolo spazio nei giornali o un accenno in qualche TG, per poi finire dimenticato il giorno successivo. Mentre un'azione di boicottaggio, per avere effetti concreti, dovrebbe partire dai comitati olimpici nazionali ed internazionali; dai governi; dalle federazioni sportive.
Possiamo stare pur certi che ciò non avverrà ed allora assistiamo oggi alle solite, ipocrite, insensate, inutili e nemmeno troppo dure parole di condanna verso la repressione cinese nei confronti dei tibetani; tra qualche mese, quando tutto sarà già dimenticato o scientemente oscurato, ci sarà concesso di goderci i giochi olimpici all'insegna del "volemose tanto bene", animati da penetrante spirito decoubertiniano.
Possiamo essere certi, che quell'evento non sarà disturbato dal fruscìo di tonache arancioni, che si muovono in corteo sulle strade; tantomeno dallo scoppio dei fucili della repressione cinese.




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lunedì 17 marzo 2008

Quel polipone di don Calogero Marollo vuol colpire ancora ...

[dal blog semidiceviprima, ricevo questa ottima segnalazione. Uno scoop non smentibile, che sono lieto di pubblicare]

SEMPRE a FRECA’ E STRILLA’?

Di C.I.A. non c’è una sola. C’è anche una C.I.A. Consorzio Imprese Abruzzesi che è un Consorzio con attività esterna con sede ad Ortona. Ha come oggetto sociale l’acquisizione di lavori e forniture nel settore dell’energia e si prefigge lo scopo di creare una struttura dinamica in grado di offrire servizi globali in relazione agli investimenti che la società Eni divisione Agip e’ in procinto di sviluppare nel Centro Sud d’Italia ex settore DORT ORPR etc.

In altri termini: anche il Centro Oli!! La costituzione è lontana ,il 2002;il Fondo consortile è modesto: € 10.000. Ma indovinate chi c’è tra le imprese componenti il consorzio(sono 10 in totale)? La SMI e la Marrollo Costruzioni. E sapete chi c’è tra gli amministratori? Come Vice Presidente Canci Francesco Paolo,fido di Calogero Marrollo; come consigliere lo stesso Calogero Marrollo. Cioè l’ineffabile Presidente della Confidustria Abruzzese che si è molto risentito della perimetrazione della costa teatina. Forse qualche piccola ragione può avanzarla. Lui esterna come Presidente della Confindustria. Ma non sarà che alza la voce perché - alla faccia dei codici etici di Confindustria - ci sono SUOI affari che vengono meno? Come BuySell insegna, lui non si fa mancare niente. SEMPRE a FRECA’ E STRILLA’?

P.S.: sull’ultimo numero dell’Espresso nel servizio sui finanziamenti ai partiti per il 2006 e 2007, a parte le generose dotazioni di Toto, non può sfuggire che Bluserena SpA Montesilvano (PE) ha finanziato mezzo mondo politico abruzzese (ex DS e ex Margherita,in primis). Voi direte che c’è di strano? Credo che i Maresca di Bluserena SpA abbiano anche corposi interessi nella sanità abruzzese…




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venerdì 7 marzo 2008

Michele Fabiani: un anarchico in cattività

Navigando nella rete, mi sono imbattuto nella vicenda di Michele Fabiani, giovane anarchico si Spoleto, arrestato il 23 ottobre 2007 insieme ai quattro suoi amici Andrea Di Nucci, Dario Polinori, Damiano Corrias e Fabrizio Reali Roscini. Tutti arrestati nell'ambito della cosidetta "Operazione Brushwood" con l'accusa di far farte di una cellula anarco-insurrezionalista denominata COOP-FAI.
Qui riporto una lettera di Michele Fabiani, divulgata dal comitato 23 ottobre. Da diffondere quanto più e meglio si può!
Altre ed aggiornate informazioni, possono essere reperite anche in dal blog Liberate Michele Fabiani.

Sono Michele Fabiani, "detto Mec", come direbbero i giudici, eh eh. Vorrei che questo scritto girasse il più possibile, non so ancora se potrò fotocopiarlo o se dovrò ricopiarlo a mano per cercare di mandarlo il più possibile in giro. Dalla seconda media mi chiamano Mec perchè per spirito di contraddizione tifavo la Maclaren.... e così ho appena scoperto che di sfortune ne ho avute di 2 in 2 giorni: la macchina di Agnelli e Montezemolo vince i mondiali e io finisco in galera. Martedi 23 ottobre 5 brutti uomini (2 erano cosi' brutti che si sono messi il passamontagna) irrompevano in casa mia, la mettevano completamente sottosopra e mi arrestavano in base all'articolo 270bis (scritto dal ministro Rocco per Mussolini). I reati associativi come l'art. 270 bis e 270 permettono di arrestare qualcuno non per cio' che ha fatto, ma per come la pensa, perchè fa parte di qualche fantomatica associazione. Basti pensare che uno di noi 5, rinchiusi in isolamento giudiziario da quasi 4 giorni e da oggi in E.I.V., è accusato solo di aver fatto una scritta su un muro! Ci pensate? Tre volanti (a testa), i mitra, i passamontagna, la scorta aerea dell'elicottero, le telecamere, il carcere, l'isolamento, l'e.i.v., per una scritta su un muro! Sono poi stato portato alla caserma dei carabinieri di Spoleto e poi a quella di Perugia, infine da quella di Perugia al carcere. Il primo momento propriamente comico è stato il trasferimento tra la caserma di Perugia e il carcere: chi guidava la macchina, forse impressionato, si è sbagliato strada e abbiamo fatto 2 volte il giro intorno alla stazione ferroviaria. In carcere mi stanno trattando bene, non mi hanno mai toccato (in tutti i sensi, neanche per gli spostamenti). La cella è molto sporca, c'è un tavolo appeso al muro con un armadietto inchiodato ed un letto inchiodato per terra ed alla parete. Oggi è caduto l'isolamento e abbiamo anche la tv. Resta il divieto di comunicare tra noi, che è la cosa peggiore. Ho visto le immagini del TGR Umbria che eravate fuori durante gli interrogatori: eravate tanti! Sono stato tanto felice, purtroppo da dentro non vi abbiamo sentito. Ho risposto alle domande non perchè io riconosca un qualche valore alla magistratura, ma per il semplice motivo che nelle motivazioni del nostro arresto c'erano scritte talmente tante (omissis) che ho ritenuto importante contraddirle subito, pur senza essermi mai consultato con gli avvocati, per la corretta esposizione dei fatti, per la libertà di tutti noi. Talmente tante erano le falsità, le contraddizioni, gli errori grossolani che era di importanza strategica distruggerle immediatamente. Nessuno tema o si rallegri: io ero, sono e resto un prigioniero rivoluzionario. Lo ero, un prigioniero ed un rivoluzionario, anche prima di martedi: siamo tutti prigionieri, tutti i giorni. Quando ci alziamo la mattina per andare a lavorare, quando passiamo gli anni più belli della nostra vita sprecati su una macchina, quando facciamo spesa, quando non possiamo farlo perchè mancano i soldi, quando li buttiamo via i soldi per delle cazzate (vestiti, aperitivi, sigarette non c'è differenza) quando guardiamo la tv che ci fa il lavaggio del cervello, che cerca di terrorizzarci con morti, omicidi, rapine (quando in 15 anni gli omicidi sono diminuiti del 70%) così che noi possiamo chiedere piu' telecamere, piu' carceri, pene sicure, quando se c'è una pena davvero sicura a questo mondo è quella che incatena lo sfruttato alle sue condizioni. Io non ho mai detto "SONO UN UOMO LIBERO", in pochi possono dirlo senza presunzioni. Se io fossi un uomo libero, andrei tutti i giorni sulla cima del Monte Fionchi, in estate con le mucche e le pecore e in inverno con la neve, e dopo aver raggiunto faticosamente le cime...guardare a nord ovest, la valle Umbra o Valle Spoletino come si diceva una volta, poi a nord est la Valnerina e il Vettore quasi sempre liscio dietro, e poi via verso est tutti gli appennini che cominciano da lì, fino a sud dove ci sono quelle meravigliose foreste... E forse, ripensandoci, neanche lì sarei davvero libero. Perchè la valle Umbra è piena di cave, di capannoni, di fabbriche, di mostri che devono essere combattuti. Ma mancano gli eroi oggi mentre di mostri ce ne sono anche troppi. Quindi io non sono un uomo libero, il dominio non è organizzato per prevedere uomini liberi. Però sono un rivoluzionario, un prigioniero rivoluzionario. Io sapevo gia' di essere un prigioniero, prima che un giudice me lo dicesse. Certo, questa prigione è diversa da quella fuori: qui vedi tutti i giorni, in maniera limpida, simbolica e allo stesso tempo materiale quali sono i rapporti di forza del dominio; dove c'è chiaramente e distintamente l'uomo, con i suoi sogni, i suoi amori, il suo carattere, e il sistema, le sbarre, le catene, le telecamere, le guardie. Potremmo dire, ironicamente, che da un punto di vista politico-filosofico qui le cose sono piu' semplici: il sistema cerca di annientare l'individuo, l'individuo cerca di resistere. Ovviamente l'uomo qui sta peggio. E' inutile fare retorica. Dopo qualche giorno la gabbia te la trovi intorno alla testa, è come se avessero costruito un'altra piccola gabbietta, precisa precisa intorno alla tua testa. Con il cervello che ragiona ma non ha gli oggetti su cui ragionare, con la voglia incontenibile di parlare e non c'è nessuno, di correre e non c'è spazio, quando mi affaccio alla finestra vedo un muro con altre sbarre, non si vede un filo d'erba, una collina (neanche durante l'aria, che passo solo in una stanza piu' grande), fuori dalla tua gabbia c'è un altra gabbia. La mia paura è che questa sensazione mi rimanga anche quando esco. Che la lotta per non impazzire diventera' il fine della mia vita. Nel carcere "formale" l'uomo combatte contro se stesso, mentre nel mondo fuori il rivoluzionario deve combattere una guerra contro entita' oggettive. La mia paura è che ci si dimentichi di questi 2 livelli di scontro, che anche quando usciro' ci sarà questa gabbia intorno alla testa che mi ............ e mi dice di non prendere a calci la porta della cella e di mettermi ad urlare. Non solo l'uomo antropofizza il mondo, ma in galera l'uomo antropofizza anche se stesso: come distruggiamo le montagne, così qui distruggiamo la nostra mente, costruendo fantasmi contro cui scontrarci. Il rapporto è tutto mentale qui. E' di questo che voglio liberarmi, voglio uscire e continuare ad avere una capacità di analisi oggettiva della realtà. Qui questa capacità rischio di perderla. Mentre fuori, innaffiando un seme e facendo crescere una pianta, si ha un'interazione fisica con il mondo qui lo scontro è tutto psicologico. Lo scontro è fisico solo ad un primo livello, con i muri che non mi fanno uscire, ma in realtà la guerra è anche con i nostri fantasmi. I muri sono troppo materiali per essere reali. Sbagliano i marxisti quando riconducono tutto alla materia. La realtà è una sintesi in cui l'uomo colloca se stesso tra il mondo e le sue idee. In galera purtroppo questa sintesi è pericolosamente, patologicamente, troppo incentrata sulla mente. Ai compagni che scrivono che non trovano parole dico di trovarle queste parole che ne abbiamo troppo bisogno. Scriveteci a tutti e 5! Vorrei che qualcuno dicesse ad Erika che le mando un bacio.
Mec, Un anarchico in cattivita' 26/10/07"


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giovedì 6 marzo 2008

Parco Nazionale della Costa Teatina: una scelta dal basso



(Da Fabio Smargiassi, consigliere comunale del PRC, ricevo il seguente comunicato)

La discussione sul parco nazionale della costa teatina sbarca in consiglio comunale. Le Amministrazioni Comunali della Costa sono chiamati a esprimere il loro parere sulla perimetrazione futura del Parco.
Il circolo di Rifondazione Comunista di Vasto ribadisce la totale convergenza con i confini proposti dalla Regione Abruzzo che con intelligenza li ha tracciati sino all'A 14 inglobando la maggior parte del territorio di Vasto. Al contrario delle maggiori forze politiche che gridano all' "ingessamento del territorio", noi crediamo che questo porterà un'importante opportunità di sviluppo, permettendo un consistente flusso di finanziamenti europei verso progetti orientati a politiche di valorizzazione del territorio.

Con coerenza intellettuale e politica crediamo però nella partecipazione attiva dei cittadini vastesi.
Così come avrebbero avuto il diritto di esprimersi sull'ampliamento o meno del porto commerciale e turistico, dovrebbero essere consultati anche su questo argomento portando al centro della discussione politica le opportunità del Parco e il nuovo volto di una città sino ad oggi politicamente ambigua sulle scelte di sviluppo.
Nè si possono ignorare tutte quelle associazioni e singoli cittadini che con il loro costante impegno hanno portato a risultati, sin'ora solo sulla carta, quali Il Sistema delle Aree Protette della Costa Teatina con la neo Riserva (gia SIC) Dune di Vasto Marina e la Riserva Naturale di Casarsa.
Come PRC attiveremo al più presto incontri nei quartieri.
Crediamo nella partecipazione di tutti e siamo convinti delle nostre posizioni politiche e di poter avere un positivo riscontro dalla cittadinanza.

Il Circolo PRC "Sante Petrocelli" di Vasto


Sulle enormi potenzialità della Parco Nazionale della Costa Teatina, non credo possano essere avanzati ragionevoli dubbi. Ma quelle stesse enormi potenzialità, sono state già in parte intaccate da scelte politiche che non hanno di certo favorito la tutela della costa. Ultimo esempio, le cui responsabilità politiche ricadono anche sul PRC di Vasto, è stata l'approvazione data alla ditta Molino, per nuove colate di cemento proprio su una zona SIC alla Marina di Vasto. Ed intanto nuove minacce alla conservazione del territorio, arrivano ad esempio dal progetto di raddoppio del porto di Punta Penna e dall'implementazione degli stoccaggi di sostanze pericolose, da parte della Fox Petroli, il cui stabilimento è ubicato a ridosso del mare, praticamente nella riseva naturale di Punta Aderci.
Non si può non constatare come la politica abbia fatto - e stia facendo - la sua parte, per compromettere irrimediabilmente la salute di un territorio tra i più belli in Abruzzo.
In questo quadro, una piena, consapevole, democratica ed incisiva partecipazione popolare, non può che vedermi favorevole.
Speriamo solo che alle buone intenzioni, almeno questa volta corrispondano fatti concreti.

P.S.: nella foto, uno scorcio della riserva naturale di Punta Aderci di Vasto. Una delle aree costiere più belle d'Abruzzo.

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mercoledì 5 marzo 2008

Centro oli di Ortona. Sospensione "elettorale"

Il popolo del NO al Centro Oli che l'Eni è intenzionato a costruire ad Ortona, può prendersi una boccata d'ossigeno, perchè il consiglio regionale, riunitosi ieri in seduta straordinaria, ha deciso di fatto per la sospensione dell'iter.
Infatti, chiamato ad esaminare i progetti di legge sui provvedimenti a tutela della costa teatina e sulla istituzione della riserva naturale Feudo di Ortona, il consiglio regionale ha votato alcuni emendamenti che sospendono, fino al 31 dicembre 2008, ogni rilascio di autorizzazioni a costruire nuovi insediamenti industriali insalubri di prima classe.
Solo una boccata d'ossigeno per il popolo del NO, perchè questa classe politica, dopo mesi di tira e molla, ancora non è stata capace di prendere una posizione chiara e non è possibile quindi abbassare la guardia. Ed oggi c'è da aspettarsi ancora meno, con una campagna elettorale che sta entrando nel vivo.

Poichè in ogni campagna elettorale, qualunque argomento può essere usato come catalizzatore di voti, non sarà possibile aspettarsi dichiarazioni politiche sul caso Centro oli. Come potrebbe, una classe politica che vive per se stessa, prendere una posizione, quando schierandosi a favore perderebbe certamente molti consensi, mentre prendendo una posizione contraria alla costruzione del petrolchimico, si troverebbe di traverso alcuni poteri forti? Ed allora, per i politicanti nostrani, meglio sospendere ogni decisione ed intanto ancora meglio, per il loro tornaconto politico, sarà tacere.

Ma sarà bene che il popolo abruzzese continui a farsi sentire. Proprio ora a maggior ragione che una campagna elettorale, estremamente importante per la sopravvivenza politica di alcuni personaggi, è in pieno svolgimento. I comitati del NO, le associazioni ed i singoli cittadini, faranno bene ad incalzare la politica e costringerla ad esprimersi nel merito del Centro oli dell'Eni.
Al contrario, il rischio è quello di un assopimento generale sull'argomento, perchè dieci mesi sono lunghi da passare e la memoria molto spesso è invece cortissima. Al risveglio dall'assopimento, gli abruzzesi potrebbero svegliarsi in un incubo che nel frattempo è diventato realtà. Nel torpore generale, la politica potrebbe avere gioco facile, nel prendere decisioni senza essere notata nelle buie ed ovattate stanze del potere.

Un'ultima cosa, proprio a proposito delle stanze del potere. Nel consiglio regionale di ieri, è stata impedita la partecipazione cittadina. Il potere politico ha deciso che il consiglio regionale si sarebbe dovuto svolgere a porte chiuse. Non vogliono essere osservati nè sentiti, i nostri politicanti che probabilemente hanno molto di cui vergognarsi.
Rimane la sensazione di vivere in una democrazia apparente.

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lunedì 3 marzo 2008

Secondo il ginecologo Travaglini per la donna abortire è come togliersi una verruca. Ho voglia di vomitare!

Quando riusciremo ad evitare gli sforzi di votimo, nel sentire certe dichiarazioni? Spero mai, perchè mi auguro che all'indecenza di certe affermazioni, nessuno si possa abituare.Comunque, non occorre un grande sforzo per riuscire a provare sdegno, nel leggere dichiarazioni come quelle che il ginecoloco Tarantini, a rilasciato in un'intervista pubblicata oggi su Quotidiano Nazionale.
Secondo Tarantini, «per molte donne abortite è come togliersi una verruca». Sapete quale sarebbe, secondo lo stesso ginecologo, la soluzione a quasta "faciloneria" femminile?

Semplice, fare «pagare l'aborto a chi vi ricorre dalla seconda volta in poi» dice Tarantini. Il ginecologo, però, nonostante il suo quasi disprezzo per la pratica dell'interruzione volontaria di gravidanza, continua comunque a fare aborti, «perchè per fortuna non tutte le donne sono così», dice.
Ancora una volta, le donne sono viste come persone che giocano con la vita e con la morte di altri esseri umani. Ed facile fare due più due, quando Tarantini, alla domanda se un embrione è vita, risponde senza dubbio alcuno: «E' vita, è vita». Ed il risultato è ovvio, anche dopo alcune frasi in riferimento al "non stare attenti" durante i rapporti sessuali. Se l'embrione è vita e la donna vede l'embrione come una verruca, vuole dire che la donna, nel "divertirsi" con il proprio compagno, si gode la vita a prezzo di quella di un bambino. E' questo in sintesi il concetto espresso da Travaglini.
La donna, vista come un essere cinico, che è capace di uccide con facilità. La soluzione proposta è di fare pagare, come fosse un giro di giostra, quello che Tarantini giudica il frutto di una superficialità femminile.
Riuscite a trattenere il vomito?

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giovedì 28 febbraio 2008

Ognuno decida quando far cominciare una nuova vita. Ma alla donna rimanga il diritto di scelta

Ho fatto oggi una piccola carrellata delle testate giornalistiche sul tema dell'aborto ed ho notato che dopo il via libera da parte dell'Aifa alla RU486, una parte della stampa si sta concentrando ancora di più - se possibile - sull'aspetto del diritto alla vita.
Dalla piccola rassegna stampa di oggi, sono stato colpito in particolar modo da due articoli. Uno di questi è a firma di Enrico Garaci, presidente dell'Istituto Superiore di Sanità e pubblicato sull'Avvenire, con il quale egli sostiene, dalla sua posizione istituzionale, che «non sono possibili mediazioni su valori come quelli che riguardano il significato della parola vita». L'altro articolo è apparso su Il Tirreno, è firmato da Rita Piombanti ed è una lettera aperta a chi vuole abortire, dal titolo "Non si può negare la vita". Il concetto di questa lettera è tutto raccolto in questa frase che l'articolista rivolge ad una donna: «Scusa se userò il verbo "uccidere" che sicuramente non ti è gradito ma lui, tuo figlio, è un essere vivente a tutti gli effetti. Già, vivente».

Ora, si capisce bene che i concetti espressi in quelle frasi, che sono la sintesi di un pensiero che si sta cercando da più parti di divulgare e fare passare, tendono ad indurre nella donna un senso di colpa per un gesto che si vuole paragonare all'omicidio.

Si richiama fortemente un diritto alla vita, che si vuole contrapposto a quello della libera scelta da parte della donna. Il diritto alla vita del nascituro contro il diritto della donna all'autodeterminazione sul proprio corpo. E' ovvio che se si assume per certo che il nascituro è un essere vivente fin dal suo concepimento e per l'aborto di utilizza il termine uccidere, chi pratica l'interruzione volontaria di gravidanza è un'omicida.

Non si può stabilire una volta per sempre e per ognuno, in quale stadio del suo sviluppo una vita possa essere considerata tale. Allora, che ogni persona, secondo la propria etica, cultura, religione o esperienza che si voglia, stabilisca per sè e per nessun altra, cosa considerare vita: se già un embrione, se il feto o il suo seguito.
Ciò che invece rimane inconfutabile, è che nella stessa natura umana è stabilita l'impossibilità dello sviluppo di una possibile nuova vita, senza l'accettazione di essa da parte della donna.
Se è vera come è vera quest'ultima affermazione, significa che non può esserci vita a prescindere dal corpo materno, sul quale la donna deve avere libertà di scelta. Non può esiste quindi sviluppo di una possibile nuova vita senza che la donna non decida che possa esserci. L'embrione nel grembo materno non è perciò una nuova vita, ma la possibilità di una nuova vita, che esiste (la possibilità) solo in quanto legata al corpo della donna la quale, in quanto portatrice di diritti, deve liberamente poter scegliere cosa fare del proprio corpo.

Non si può perciò continuare a recitare il refrain secondo il quale, poichè un embrione si sta sviluppando nel grembo materno, quell'embrione "deve" diventare una nuova vita autonoma.
Non può essere contrapposto al reale e certo diritto della donna all'autodeterminazione, un diritto alla vita che non dipende da nient'altro, ma sussiste in sé e per sé.

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martedì 26 febbraio 2008

G8 di Genova. Bolzaneto come un girone dell'inferno

Finalmente qualcosa comincia a venire alla luce, sui drammatici fatti di Bolzaneto, durante il G8 di Genova del luglio 2001.
Durante la seconda parte della requisitoria dei pm Vittorio Ranieri Miniati e Patrizia Petruzziello, sono emersi fatti inquitanti di torture fisiche e psicologiche, perpetrate nella caserma di Bolzaneto. Gli imputati per questi reati sono in 45, tutti ai vertici del personale della polizia penitenziaria, polizia di stato, carabinieri e medici.
Un girone dell'inferno, come è stato definito, nel quale i manifestanti arrestati durante le manifestazioni sono stati picchiati, insultati, spogliati, derisi e minacciati tra le altre cose di sodomizzazione.

Chi è scampato a questa Guantanamo genovese, provi a pensare solo un attimo di essere sottoposto a torture simili. Vai a manifestare la tua speranza di costruire un mondo diverso e migliore e ti ritrovi in un stanza, sottoposto a delle torture.
Lo so che qualcuno verrà fuori con la solita storia dei manifestanti violenti. Ci sarebbe da discutere abbondantemente su: quali fossero i violenti tra una sterminata folla pacifica; chi avrebbe dovuto allontanarli dal corteo; come iniziarono gli scontri; ecc.; ecc. Ma non voglio farlo qui, nè ora. L'unica cosa che mi preme marcare, è il maggiore carico emotivo che si cela nelle violenze eseguite da uomini in divisa su persone inermi, dentro una caserma, mostrando così tutta la vigliaccheria di quelle violenze.
Immagino lo stato d'animo di quei manifestanti umiliati, che devono essersi sentiti come in un incubo, di quelli dove ti ritrovi in una condizione di estremo pericolo. Vorresti fuggire, ma non puoi, chiuso come sei tra quattro mura e vorresti urlare, ma la voce rimane soffocata e comunque nessuno può sentirti. Stretto tra una condizione claustrofobica ed uno stato d'ansia per il pericolo evidente per la propria incolumità, che non sai fino a che punto sarà tutelata, ti ritrovi costretto a vivere l'incubo, fino a quando non tu ma qualcun altro non decide che puoi svegliarti.

Ciò che deve preoccuparci, come società civile, è il rischio di impunità per chi diede evidentemente ordini precisi per quelle violenze, o comunque volutamente si distrasse nel momento in cui le torture vennero perpetrate. E deve preoccuparci il fatto che nessuna inchiesta interna alle forze dell'ordine, è stata portata avanti a seguito dell'accertamento di quelle torture, marcando un'assenza di democrazia e senso civile in certi ambienti.
Senza una riforma che sia prima di tutto culturale, in ampi settori dell'ordine pubblico, ho paura che potremo ancora assistere ad episodi come quelli del G8 genovese.
In questo senso, le vicende di Federico Aldrovandi e di Aldo Bianzino, sono molto più vicine di quanto possa apparire ai fatti di Genova 2001.

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lunedì 28 gennaio 2008

Manifestazione 2 febbraio a Cosenza

(Dal sito www.cosenza2febbraio.org, copio questo comunicato stampa dell'associazione Liberi Tutti)

La requisitoria esposta dal Pm Domenico Fiordalisi non apporta nessun elemento di novità. In aula, sostanzialmente, la solita minestra. Le intercettazioni ammesse dalla Corte, che rigetta la richiesta di inammissibilità avanzata dalla difesa, evidenziano solo ed esclusivamente delle ipotesi di reato, più che conclamare delle prove certe. Eppure un magistrato, che opera in nome della giustizia, dovrebbe produrre in sede processuale delle prove concrete più che delle congetture ovvero una procura, dovrebbe essere più accorta prima di accettare nella sua sede, dibattimenti basati su elementi del genere. E tutto questo, stante l’alto rispetto per gli organi giudicanti.


Ancora una volta il Pm fa riferimenti a questioni di attualità come <<… come quando numerosi dimostranti hanno recentemente attaccato le caserme della Polizia a Roma…>>, citando il Presidente della Repubblica Italiana, forse per darsi un tono che non ha mai avuto. Ma non si ferma qui: <<>>

E’ un passaggio che rispediamo “ai mittenti”, la suddivisione tra buoni e cattivi, per noi, non esiste. I 25 di Genova e i 13 di Cosenza non saranno i capri espiatori di tutto quel movimento che è arrivato compatto sino ai giorni degli arresti, al Social Forum di Firenze, e che oggi si è sciolto confluendo ed articolando le numerose lotte sociali sparse nel nostro paese.
Questo processo, costruito “sapientemente” dagli addetti ai lavori è sempre stato presentato all’opinione pubblica come una brillante operazione messa in atto da parte dello Stato, per fermare una pericolosa associazione capace di sovvertire violentemente le regole internazionali. Per cui, il quadro prospettato dai più, lasciava presagire pene molto più severe, che i 50 anni prospettati dal Fiordalisi, specie se consideriamo quelle che sono state le proposte di condanna per i 25 di Genova. L’impianto accusatorio, quindi ne esce indebolito, per come presentato in sede dibattimentale. Escludendo tatticismi giuridici di alto livello, ecco la prova che al suo impianto, non ci ha mai creduto neanche egli stesso.

Abbiamo sempre nutrito dei forti dubbi rispetto alla professionalità, tanto acclamata e messa in campo dagli organi preposti. Nell'inchiesta Fiordalisi, la ricostruzione del teorema, su un piano simbolico ci spossessa del nostro agire, come infilati tra un “frame” e l'altro da registi occulti. Nelle carte del dottor Fiordalisi, obiettivamente, fatichiamo a ritrovare elementi di realtà storico - politica, men che meno che di natura giuridica. I due anni di intercettazioni operati a danno degli imputati, pagati con i soldi della collettività, non hanno mai evidenziato strani comportamenti da parte degli imputati stessi. Invero, si pensa ad una cellula sovversiva, quando i componenti della stessa si riuniscono in posti segreti e lontano dagli occhi di tutti; quando, ai suoi componenti vengono ritrovate armi da fuoco, ed ancora, tutto ciò che l’immaginario collettivo pensa quale strumento atto a concretizzare le pericolose azioni volte a sovvertire violentemente l’ordine economico dello Stato. Nulla di tutto ciò. Addirittura alcune intercettazioni, messe agli atti come prove inconfutabili, come nel caso del compagno tarantino che intercettato al telefono proponeva <>, suscita quantomeno dell’ilarità. Se l’intento del compagno pugliese era “inequivocabilmente” quello di recarsi a Genova con delle armi da fuoco, come mai non c’è stata prevenzione da parte degli organi di polizia giudiziaria, tallonando per tutta la durata delle giornate del G8 l'imputato?

L’altro aspetto negativo riguarda sicuramente la procura cosentina. Alla stessa respingiamo le sue accuse perché viviamo in una terra dove le emergenze sono ben altre: corruzione e malaffare nella gestione dei soldi pubblici; una città disegnata da parte della Direzione Distrettuale Nazionale Antimafia come caveau della malavita organizzata; la totale assenza di verità giudiziarie sull'ultima guerra di mafia combattuta dopo il 2000 per la gestione degli appalti sull'edilizia; le numerose inchieste e l’impunità di cui hanno goduto poliziotti e carabinieri (rimasti ancora in servizio) per reati contro il patrimonio e presunti rapporti con le cosche. Questo e molto altro succede dalle nostre parti.

E’ in questo contesto che la procura di Cosenza, preferisce indirizzare le sue attività verso chi produce delle lotte sociali, invece che fermare chi attenta quotidianamente ai nostri diritti; impegnando, inutilmente, una intera Corte d’Assise per ben sei anni.

A questo punto, le pene, ci risultano pesantissime non solo perché basate sul nulla, ma anche perché prevedono oltre 26 anni di libertà vigilata per sospetta pericolosità sociale. Una forma di restrizione della libertà che comporta provvedimenti come l'obbligo di dimora o di firma, il ritiro della patente e del passaporto, tutti provvedimenti adoperati dalle procure per indebolire e rendere difficile l’azione politica portata avanti dai movimenti sociali. A conti fatti, così come sulle nostre vite è cascato il più classico dei castelli accusatori - vecchio vizietto della giustizia italiana -anche noi nel corso del tempo abbiamo maturato una nostra interpretazione di tutta la vicenda. E cioè che tramite questa operazione si voglia colpire e criminalizzare qualunque azione che si svolga al di fuori dello stretto reticolato disegnato a suon di repressione, dai prepotenti del mondo e dai signorotti locali, che credono di poter gestire indisturbati i loro sporchi affari - utilizzandoci come pedine funzionali - indispensabili alla realizzazione dei loro disegni delinquenziali. E dunque con questo impianto accusatorio, anche un solo minuto di carcere, ci risulta inaccettabile!

Per questi motivi il corteo del 2 febbraio, a Cosenza, diventa tappa fondamentale per tutti coloro che non solo sono stanchi del contesto in cui viviamo, ma che hanno ancora voglia di far emergere la propria dignità rispetto a chi offende le nostre intelligenze con accuse inaccettabili, distrugge i nostri territori, rende precarie le nostre vite e reprime le nostre lotte!

Cosenza, 26.01.2008
Coordinamento “Liberi tutti”

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