lunedì 28 luglio 2008

Stato di emergenza nazionale. Necessario alla sopravvivenza di questa politica.

Nei giorni scorsi ascoltavo in TV (mi pare fosse il TG2) un servizio sui giovani sindaci italiani. Tutti nati negli anni '70. Il più giovane di tutti, se non ricordo male, dovrebbe essere il sindaco del Comune di Civitella Messer Raimondo, un piccolo paese di poco meno di mille anime. Mi è rimasto impresso questo paesino tra tutti per due motivi: uno per il fatto che il più giovane sindaco d'Italia amministra un paese non lontano da dove risiedo. Il secondo e più importante, per una risposta data ad una domanda del cronista. Alla domanda su cosa la sua amministrazione offrisse ai cittadini, la risposta è stata, tra le altre cose: sicurezza.
Capito? Sicurezza. Da cosa e da chi, in un paese di meno di mille abitanti? Provo ad azzardare un'ipotesi, senza conoscere la realtà di cui parlo: da niente o da così poco, che la sicurezza dovrebbe fare ridere quale impegno amministrativo.

Ora, non è il caso specifico che mi interessa. Quello che mi ha dato da pensare, è come la parola sicurezza faccia ormai parte del vocabolario di ogni amministratore, di quasi ogni colore politico, di qualunque governo nazionale o locale italiano.
A pensarci, quella parolina così facilemente spendibile al mercato elettorale, non ha molto significato, per la sua assoluta genericità. Solo che (è questa la mia riflessione principale) i pensieri di chi quella parola l'ascolta, vanno sempre e solo nella stessa direzione: sicurezza come tutela dagli altri, intesi come diversi per il colore della pelle, della lingua, per come si vestono, o per quello che vi pare.
Di volta in volta viene reinsegnato di cosa avere paura, da chi arriva il pericolo e perciò da chi occorre proteggersi. Da chi, insomma, offrire sicurezza.
Tutto al di là di ogni dato oggettivo, prescindendo la minima volontà di conoscenza dell'altra cultura, ed al di là di ogni principio di accoglienza e di integrazione. E' la versione politically correct del linguaggio di Borghezio. E' la xenofobia che entra in politica ed investe la società.

Il terreno è stato così ben preparato che il governo si può permettere in questi giorni di proclamare lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale, per un presunto eccezionale afflusso di cittadini extracomunitari. Anche in questo caso, fuori dalla logica che sarebbe imposta da una leale lettura dei dati, che dicono di una situazione invariata del flusso migratorio verso l'Italia. Ma soprattutto, dicono quei dati, che la maggior parte degli ingressi avvengono non certo su carrette del mare, ma ad esempio attraverso regolari permessi turistici e con ben altri e più abituali mezzi di trasporto. Nè viene detto che moltissimi dei migranti in arrivo in Italia, sono richiedenti asilo politico e che perciò dovrebbe essere tutelato questo loro diritto.
Sono cose che non possono essere dette da questa politica, che per vivere si nutre delle paure costruite della gente. Se così non fosse, questa politica autoritaria e xenofoba sarebbe costretta a dare piena legittimità alle rivendicazioni di un salario adeguato a condurre una vita dignitosa; dovrebbe dare risposte all'insicurezza sociale causata dalla precarietà lavorativa e di vita; si troverebbe a dover garantire i servizi essenziali ed i diritti individuali e civili fondamentali. Dovrebbe, in quel caso, disconoscersi, lasciarsi morire.

Ed allora, tanto vale creare l'emergenza nazionale. Così da tenerci occupati a dargli all'immigrato. Se tanto poi diversi problemi rimanessero irrisolti, se altri dovessero crescere, se le tensioni inevitabilmente dovessero alzarsi, c'è sempre pronta una nuova emergenza nazionale da sbattere in prima pagina e qualche vecchio o nuovo capro espiatorio da gettare nell'arena.

1 commenti:

Franca 30 luglio 2008 alle ore 12:44  

C'è da pensare che quest'ultima trovata dell'emergenza nazionale sia stata fatta proprio per farci parlare di questo e mettere in secondo piano la politica economica...

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