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martedì 22 luglio 2008

Sono contrario alle impronte digitali. Ma non firmo quella petizione

Ho già scritto in merito alle impronte digitali che questo governo autoritario vorrebbe obbligarci a mettere sulle carte d'identità a partire dal 2010. Una schedatura di massa, che non si vedeva dai tempi del fascismo (corsi e ricorsi storici?). Avevo già descritto la mia contrarietà per quanto rigurda la schedatura dei rom. Una chiara operazione di discriminazione su base etnica.
La schedatura di massa a partire dal 2010, oltre a prefigurare una società di controllo poliziesco, è servita a mascherare le intenzioni xenofobe che stavano dietro il "censimento" del ministro Maroni.

In uno di questi post, c'è stato un commento che invitava a firmare una petizione contro le impronte digitali. L'appello ha un titolo che sarebbe inequivocabile: "No alle impronte nella carta d'identità!". La petizione ha già raggiunto un discreto numero di adesioni, considerando la diffusione che mi pare limitata nei mezzi ed alla poca popolarità dell'estensore che non ho ben capito chi sia. Tra queste firme, manca e mancherà la mia, perchè per firmare un'appello, occorre una piena condivisione del suo contenuto.
Certo non ho la presunzione per credere che la mia adesione possa dare valore alla petizione. Nemmeno credo nell'efficacia di un appello lanciato nel web, come si lancerebbe un bottiglia con messaggio in un oceano sperando in un salvataggio, peraltro difficile non essendoci alcuna firma.
Comunque l'appello mi ha colpito perchè all'apparenza condivisibile, mantiene in realtà uno sfondo discriminatorio inacettabile e che credo sia purtroppo pericolosamente diffuso.

Entrando nel merito. Nell'appello si teme il pericolo di introdurre, prendendo le impronte digitali a tutti a partire dal 2010, una schedatura preventiva, come se ognuno di noi fosse considerato un potenziale criminale. Mi pare condivisibile e mi trova d'accordo. Io stesso considero l’operazione di schedatura delle impronte digitali un pericoloso sistema di controllo dei cittadini, che in misura sempre maggiore limita le libertà individuali.
E allora, dovrei firmare? No. Perchè il promotore della petizione fa esplicita distinzione tra un "noi" riferito agli italiani ed i rom (ignorando tra l'altro la nazionalità italiana di moltissimi rom). Si legge nell'appello: "ero a sfavore delle impronte ai rom, non per i motivi retorici della sinistra ma perché ero consapevole che quello era il primo passo PER SCHEDARE NOI." (in maiuscolo anche nel testo originale).
Si capisce quindi che nell'appello si fa ancora una volta una distinzione su base etnica. Ho interpretato quella frase (se mi sbaglio, per favore correggetemi) come se dicesse: "non ci fosse stato alcun pericolo di schedatura oltre i rom, me ne sarei sbattuto altamente".

Ritengo invece che la misura dell'indignazione, non può e non deve essede differenziata in base alle diversità, qualunque esse siano. Dobbiamo avere capacità di reagire agli attacchi alle libertà individuali ed alla dignità umana, allo stesso modo, per ogni individuo in qualunque momento.
Dobbiamo avere la capacità di considerare la dignità umana non differenziabile in base alle diversità, qualunque esse siano. Il rischio è che un giorno, quando lo schiaffo della discriminazione toccherà a noi subirlo, chiunque noi siamo, saremo soli a difenderci e certamente usciremo sconfitti.

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venerdì 27 giugno 2008

Caro bambino rom, non è colpa tua ... ma della figa che ti ha partorito!

E va bè dai, è già successo, sarai abituato. Di che ti scandalizzi? Di cosa ti preoccupi? E' una storia vecchia di almeno 60 anni, la schedatura dei rom come te. Ehm ... scusa, ho detto schedatura? No, no ... mi sono confuso. La schedatura è una pratica fascista, nazista. Oggi, a 60 anni di distanza dalle leggi razziali, quelle che marchiavano ebrei e rom perchè di razza inferiore, oggi dicevo non si può più parlare di schedatura. Oggi prendere le impronte digitali ai bambini rom, si chiama censimento.
Anche se il censimento, quello ufficiale, quello che con cadenza decennale viene effettuato dall'ISTAT, non prevede di prendere le impronte digitali. Ma tu sei rom e perciò nella testa malata di qualche ministro di questa nostra Repubblica morente, sei un delinquente. Anche da bambino, anche senza avere commesso reato.
In questa nostra morente Repubblica, non importa se un reato lo hai commesso o meno. Tutto dipende dalla vagina che ti ha partorito: se è stata una figa di etnia rom a metterti al mondo, sei considerato tendenzialmente persona predisposta a delinquere. Se così fosse ed ancora non hai commesso un furto, un rapimento, un stupro, certamente lo farai, ti dicono. Ed intanto che non sarai in età per commettere reato, è dato per certo che tuo padre ti costringerà all'accattonaggio e ti maltratterà.
E allora, visto che dicono che così è e visto che dall'altra parte c'è chi ciecamente ed ingenuamente continua a credere a queste stronzate, tanto vale agire preventivamente.
Oggi tocca a te, bambino rom, domani potresti essere in buona compagnia di un tunisino, di un albanese, di un cingalese. Ma non è dato sapere con esattezza quale lingua parlerà il tuo compagno, censito da uno Stato italiano militarizzato. Dipende. Oggi non so dirti su chi si riverserà in futuro questa perversa follia razzista.
Dipende dal mercato della paura, che vende al prezzo di qualche consenso i suoi prodotti, pubblicizzati negli spot elettorali.
Solo di una cosa posso essere certo: in nessuna caserma di carabinieri, e in nessuna questura troverai la compagnia di un bambino venuto alla luce da una passerina italiana, soprattutto se ricca, men che mai se del Nord, assolutamente impossibile se leghista e un po' fascista!

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venerdì 16 maggio 2008

Non vogliamo l'integrazione, ma l'assorbimento dell'altro

«Questi extracomunitari vengono qui, ma non si vogliono integrare». Quante volte ho sentito pronunciare questa frase. Altrettante mi sono chiesto cosa intendesse dire, con quella frase, chi la pronuncia. Ed in particolare, mi sono ogni volta chiesto quale significato si volesse dare alla parola integrazione.
Wikipedia dice che:

"Il termine integrazione indica l'insieme di processi sociali e culturali che rendono l'individuo membro di una società."

Ora, se il significato del termine "integrazione" è quello detto sopra (e lo è), devo dedurre che quando lo stesso termine viene utilizzato, spesso gli si dà un significato diverso. In molti casi, "integrare" è utilizzato per significare "assorbire".
Quando sento una persona che si lamenta, perchè ad una comunità musulmana viene concesso uno spazio dove poter pregare, non credo di poter cogliere una volontà di integrazione, da parte di chi si lamenta. Allo stesso modo, pure sforzandomi, non riesco a riconoscere una volontà di confronto con l'altro, se noto che una piazza si svuota perchè frequentata da extracomunitari.
Se per essere accettato, un extracomunitario, un musulmano, un rom, una persona in genere con una cultura diversa, deve svuotarsi del suo essere per diventare quello che noi siamo, è chiaro che non c'è "integrazione", ma "assorbimento".
In casi se possibile peggiori, cioè quando si accetta che quelle stesse persone, facciano lavori quanto più umili e disprezzati dalla nostra cultura e nelle forme del peggiore sfruttamento del lavoro, e poi si protesta per la loro presenza, non si può usare il termine "integrazione". Si dovrebbe parlare di "consumo" di quelle persone, come forza lavoro da sfruttare. Braccia da "consumare" che quando diventano inutilizzabili, bisogna avere la possibilità di rispedire nelle discariche umane.
L'integrazione è ben altra cosa: è un rapporto tra diverse culture, che prevede anche la possibilità, consapevole ed accettata di modificare i propri usi e costumi, i propri valori e le proprie tradizioni. Una modificazione che significa arricchimento anche attraverso lo scambio delle esperienze e delle conoscenze.
D'altronde è proprio attraverso il mutamento e l'adattamento a nuove e diverse condizioni di vita, che le civiltà si sono evolute. Ma mi rendo conto sempre più, che quella che stiamo vivendo è una fase di forte regressione.

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giovedì 15 maggio 2008

E' ripartita la caccia alle streghe ... che oggi si chiamano rom

E' ripartita la caccia alle streghe e con essa un coro di banali, sempre uguali pregiudizi, carichi di ignoranza e mancanza di volontà a capire.
E' successo che una quattordicenne di etnia rom, è entrata in un'abitazione a Ponticelli nella periferia Est di Napoli per rubare, e quando è stata scoperta dalla proprietaria, questa la vede con in braccio sua figlia di pochi mesi. La ragazzina rom, malmenata dalla proprietaria di casa e quasi linciata dagli abitanti del quartiere, è salva forse solo grazie all'intervento della polizia.
A seguito del tentativo di furto e del presunto tentativo di rapimento, gli abitanti di Ponticelli danno alle fiamme il campo rom, con lancio di molotov. Prima ancora, un rumeno residente nella zona, regolare, operaio, non appartenente all'etnia rom, è accoltellato, per vendetta all'episodio del furto.
In quanti sarebbero potuti morire nel rogo? E quanti bambini avrebbero potuto bruciare vivi? Cosa importa. «Sono rom, bestie che rubano in casa e rapiscono i bambini!», secondo i luoghi comuni di cui parlavo prima. Detti da persone che «non sono razzista, ma gli zingari ...».
Luoghi comuni alimentati ad arte, dalla stampa con titoli a caratteri cubitali, per identificare nel rumeno, nel rom, nell'albanese, un potenziale delinquente. Dalla TV che sottolinea la nazionalità del pirata della strada di turno o del presunto protagonista di un fatto di cronaca. Dalla politica, che si ritrova il terreno pronto per la creazione di un nuovo stato di emergenza.
Emergenza sicurezza, emergenza immigrati, emergenza clandestini, emergenza rom; a cui fare seguire pacchetti sicurezza, leggi che creano la clandestinità che vorrebbero reprimere, leggi razziali e commissari speciali. E poi, e quindi, ancora paure, ancora rancori e tanta rabbia, scatenata verso quello più povero ed escluso, con il quale si dovrebbe tentare di creare un'idea di società della convivenza e di tutela dei diritti.
E invece ci tocca sentire il post-fascista Alemanno, neo-sindaco di Roma dire che «il lassismo [dello Stato] può generare la cultura della giustizia fai da te». Si grida la necessità di più sicurezza, più detenzione, pene più severe, che alimenteranno inevitabilmente, nuove emarginazioni, nuove paure ed altri rancori, utili per giustificare provvedimenti repressivi ed antidemocratici e le peggiori politiche sociali.

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