venerdì 18 gennaio 2008

Le proposte per incrementare i salari scaricano il rischio d'impresa sulle spalle dei lavoratori

L'Istat conferma che gli Italiani si stanno impoverendo. Secondo l'istituto di statistica, metà delle famiglie italiane vivono con al massimo 1900 euro al mese. Considerando la composizione delle famiglie italiane, che mediamente è composta da tre componenti, giustamente Giorgio Cremaschi della segrateria nazionale Fiom e leader della rete 28 aprile, fa notare che questo "vuol dire meno di 600 euro a persona per arrivare a fine mese". Definendo questa situazione come "catastrofe dei redditi", Cremaschi propone "una terapia d’urto a favore di salari e pensioni, soprattutto un programma di redistribuzione della ricchezza. Naturalmente a tale fine è anche indispensabile il rinnovo dei Contratti nazionali".
In effetti in questo periodo la politica ed i sindacati si stanno occupando della questione salariale, ma credo in termini non risolutivi di quella che è diventata ormai un'urgenza improcrastinabile. Non è da oggi che si richiedeno seri interventi in materia di salari, visto che negli ultimi 25 anni la ricchezza da redditi da lavoro sul PIL è diminuita del 15%, mentre la quota di ricchezza attribuita ai profitti è aumentata praticamente di quella stessa percentuale.
Ma le soluzioni proposte non potranno dare reali risposte alla questione. Si sono avanzate proposte ch4 vanno dalla riduzione del carico fiscale sul lavoro dipendente e sulle pensioni, attraverso un aumento delle detrazioni a beneficio di redditi medio-bassi, fino alla detassazione degli aumenti contrattuali a partire dalla contrattazione di secondo livello. Nessuna delle due proposte può considerarsi risolutiva.
Sulla riduzione del carico fiscale, non è chiaro dove si troveranno i soldi per una loro copertura, ne se tali riduzioni interesseranno anche i lavoratori con contratti parasubordinati (co.co.pro.; partite IVA; ecc.). Mentre questa soluzione potrebbe essere assolutamente positiva, nel caso in cui la copertura finanziaria derivasse da un reale e certo attacco all'evasione fiscale, ma soprattutto da una maggiore pressione fiscale sui redditi da capitale. Se così non fosse, le detrazioni sui redditi da lavoro e sulle pensioni ricadrebbero inevitabilmente sullo stesso lavoro dipendente, dovute agli aumenti dei costi sui servizi pubblici o per un obbligato ricorso ad analoghi servizi privati, a causa di una riduzione dei serivizi pubblici.
Relativamente alla detassazione degli aumenti contrattuali di secondo livello, occorre precisare che oltre al fatto che la platea di beneficiari non supererebbe un misero 30% del totale dei lavoratori, si vorrebbe legare tali aumenti ad un incremento della produttività. Ne deriverrebe perciò l'annullamento di fatto della contrattazione nazionale e la conseguente pratica della contrattazione aziendale e addirittura individuale. Sostanzialmente ciò che gli industriali vanno predicando da tempo.
Così messa significherebbe dare mano libera ai padroni sull'orario di lavoro, è perciò delle vite dei lavoratori, che vedrebbero così governati sia i tempi di lavoro che i tempi di vita. Tutto ciò a vantaggio dell'incremento dei profitti padronali.
In tutto questo scenario, se così fosse portato a termine, l'interlocutore dei lavoratori diventerebbe lo Stato e non più le aziende, da cui si realizzerebbe il sogno dei padroni, di scaricare di fatto il rischio d'impresa sulle spalle dei lavoratori.

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