giovedì 28 agosto 2008

Anche l'operaio vuole il figlio dottore. Non c'è più morale, ministro Gelmini

Non c'è governo, da almeno tre lustri ad oggi, che non si sia occupato della riforma della scuola. Anche la ministra Gelmini non ha voluto essere da meno e per esporre il proprio programma, non poteva scegliere platea più accomodante per lei che quella del meeting di Comunione e Liberazione.
In due parole, il grosso della proposta sta nel voler trasformare tutte le scuole, comprese quindi quelle statali, in fondazioni di diritto privato ed essere regolamentate come tali. In questo modo, le scuole potrebbero incassare finanziamenti da privati, che ovviamente determinerebbero le scelte scolastiche a proprio uso e consumo, pena la chiusura dei "rubinetti". Scuole-aziende con CdA al posto dei consigli scolastici, dove gli studenti non sarebbero altro che la materia prima da trasformare in un processo aziendale che produce lavoratori sempre più precari e funzionali al mercato del lavoro.

Perciò, quando si parla di riformare il sistema scolastico, non si sta parlando semplicemente della scuola. Non ci si riferisce semplicemente al numero di insegnanti, non è solo il sette in condotta, non è solo il grembiule, non è solo una questione di spesa. E' tutte queste cose. Ma è anche e soprattutto di una visione di società che si sta parlando.
Anche la ministra Gelmini, donna in carriera folgorata sulla via di Arcore, avvocato che non ha mai messo piede in una scuola in qualità di insegnante, che di insegnamento non saprebbe di cosa parlare, che di pedagogia ne conosce quanto me in materia di fisica dei sistemi complessi; anche lei, dicevo, sa bene che quando parla di riforma della scuola, non sta trattando un tema che inizia e si esurisce nelle aule scolastiche.

Quando la ministra Gelmini espone ad un pubblico di ciellini la riforma scolastica alla quale si vuole cominciare a dare corso, è della sua visione di società che sta parlando, e di quella di questo governo, e delle oligarghie politiche, economiche, istituzionali. E come comunemente immaginano la società questi poteri? Immaginano una società nella quale i ricchi possono frequentare scuole di eccellenza, mentre tutti gli altri sono destinati a frequentare scuole ed università dequalificate.
Sostanzialmente, chi appartiene ad una classe agiata è destinato, se vuole, a ricoprire ruoli dirigenziali, mentre chi appartiene alla massa è relegato alla produzione della ricchezza dei primi. A questo punto la Gelmini replicherebbe che la scuola a cui aspira, è fatta di docenti ed alunni che avanzano sulla base di criteri meritocratici.

E', il discorso della meritocrazia, il cavallo di Troia attraverso il quale si tenta in diversi ambiti di abbattere quel che rimane dello stato sociale. Non ha senso parlare di meritocrazia quando le condizioni di partenza non sono le stesse. Sarebbe come se un centometrista si dicesse più veloce del suo avversario perchè primo al traguardo, ma non si tenesse conto che quello stesso atleta è partito da blocchi di partenza spostati in avanti di 50 metri.
"Del resto mia cara di che si stupisce, anche l'operaio vuole il figlio dottore
e pensi che ambiente che può venir fuori. Non c'è più morale, Contessa."
E' la strofa di una canzone che si cantava a cavallo tra la fine del '60 e gli inizi degli anni '70. A quaranta anni di distanza da quando fu composta, quella canzone che si chiama Contessa, potrebbe ancora essere intonata senza nemmeno apparire nostalgici.

8 commenti:

Franca 28 agosto 2008 alle ore 17:22  

"Non ha senso parlare di meritocrazia quando le condizioni di partenza non sono le stesse"

E' esattamente questo il nocciolo del problema.
Non mi sembra difficile da capire, eppure di meritocrazia in tanti si riempiono la bocca...

Unknown 28 agosto 2008 alle ore 17:45  

Hai colto l'essenza e il cuore del problema. A volte penso ad una scuola "alternativa" nel paese dell'utopia. L'avere rimossa tutta la questione delle differenze di classe (di cui tutta la sinistra ha gravi responsabilità) ha fatto sì che uno degli strumenti del popolo, la Scuola, non fosse più sentito come un bene collettivo e popolare da difendere e far crescere.
Prova a vedere chi ha voce a cantarla quella canzone?

Crocco1830 28 agosto 2008 alle ore 19:50  

@ franca: è propria della cultura padronale. E' un modo per far digerire la piccola amara della disparità prodotta dal sistema capitalistico. Lo zucchero è la convizione di poter arrivare dove si vuole con la buona volontà.

@ riverinflood: hai ragione. Su questo la sinistra ha le sue gravi colpe, che sono quelle di aver lanciato messaggi per i quali si è considerato superato il conflitto sociale.

il Russo 28 agosto 2008 alle ore 20:56  

Concordo con la tua chiusa, cantare Pietrangeli sarebbe attualissimo fuorchè per i protagonisti, alla fabbrica non si occupa più....

Imagine 29 agosto 2008 alle ore 09:48  

sono assalito da una desolazione immensa leggendo questo post... speriamo di essere in tanti a ricantarla, quella canzone!

Crocco1830 29 agosto 2008 alle ore 10:27  

@ il russo: no, infatti. La lotta è decisamente calata in intensità

@ imagine: me lo auguro. ma le condizioni attuali non sono purtroppo delle più propizie.

Prefe 29 agosto 2008 alle ore 16:57  

brivido!!!!

Come fondazioni di diritto privato ? Non lo sapevo l'avesse proposto.
Bruciano le tappe questi bastardi.

Crocco1830 30 agosto 2008 alle ore 13:51  

@ prefe: stanno portando avanti il loro programma, senza opposizione parlamentare. Questo da i brividi.

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