Basta un Beretta per ridurre i morti sul lavoro.
Marco Bazzoni, attento ed impegnatissimo RLS (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza), mi ha inviato una e-mail facendomi presente il video qui sotto, nel quale Klaus Davi intervista Beretta, direttore generale di Confindustria.
Prima che vediate il video, è bene che vi prepari alle nefandezze che vengono dette. Non voglio avere sulla coscienza rischi di soffocamenti per improvvisi rigurgiti di sdegno.
Ancora una volta si minimizzano le morti sul lavoro. Ancora una volta si fa opera di pura disinformazione strumentale. Di nuovo si torna a ripetere che le morti sul lavoro sarebbero "solo" 500 l'anno ed avverrebbero quasi tutte nel sommerso. Altre 500 morti sul lavoro, avverrebbero nel tragitto casa-lavoro. Le imprese appaiono quasi fondazioni benefiche che oltre a dare lavoro, investirebbero diversi miliardi di euro in sicurezza nei luoghi di lavoro.
Ci vuole una grande faccia tosta, per affermare cose del genere. Per poter beatamente affermare il contrario di quanto i dati ufficiali dicono, bisogna essere ben abituati alla mistificazione e soprattutto bisogna sapere di avere dalla propria parte, gran parte dell'informazione di massa, quella che arriva nelle case anche senza cercare una specifica notizia. Occorre avere in mano il potere di lanciare messaggi subliminali capaci di distorcere la realtà e nel farlo, non fare percepire una certa indifferenza e sottovalutazione del dramma che quotidianamente si produce sul lavoro e nelle case delle famiglie delle vittime.
Beretta - fateci caso - non cita dati precisi. Tanto che i morti sul lavoro, non sono 1.000 ogni anno come il direttore generale di Confindustria afferma, ma un numero di oltre 200 in più. Gli infortuni in itinere (secondo me da considerare giustamente infortuni sul lavoro), avvengono con una percentuale molto più bassa di quanto afferma il dirigente di Confinudustria. Per poter esporre dati così palesemente falsi (e sottolineo falsi), Beretta è costretto a non citare la fonte dei numeri da lui citati.
Ma oltre i numeri, snocciolati con tanta indifferente slealtà da Beretta, ci sono vite reali spezzate. Nei numeri degli infortuni mortali, ci sono famiglie che piangono i propri cari che sono venuti a mancare. Infortuni che però il direttore generale attribuisce al sommerso. Come se il lavoro nero non fosse una pratica adottata anche da aziende affiliate a Confindustria. Ma non mi pare di avere mai sentito o letto, una volta che sia una, di un'azienda che sia stata cacciata dall'associazione degli industriali a causa del lavoro irregolare svolto al loro interno.
Al signor Beretta quindi, chiederei di togliersi la maschera di ipocrisia dietro la quale si nasconde, così da mostrarsi anche lui per quello che è: un padrone.
Di seguito riporto la risposta di Marco Bazzoni a Beretta, dalla quale è possibile leggere quanta falsità ci sia dietro i dati citati dal dirigente di Confinudustria.
Egregio direttore Generale di Confindustria Maurizio Beretta, leggendo la notizia di ieri dell'agenzia Asca "INCIDENTI LAVORO: BERETTA, 500 MORTI L'ANNO MENO DI FRANCIA E GERMANIA", e guardando il video dell'intervista su Youtube "Beretta: Morti sul lavoro, in Italia il 50% in itinere", vorrei dirLe, come ho detto a suo tempo (sempre tramite lettera) al Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, che non è assolutamente vero che il 50% degli infortuni mortali sul lavoro sono in "itinere", cioè nel tratto casa/lavoro- lavoro/casa, ma sono molti meno.
Al seguente link era stata pubblicata la tabella con i dati degli ultimi 10 anni sugli infortuni sul lavoro, quindi compresi quelli in itinere (mortali e non:
http://www.inail.it/repository/ContentManagement/node/N670419722/Andamento_storico.pdf
Però adesso, "stranamente", non è più possibile aprire tale tabella. Sarà un caso?!
Comunque, non problem, io mi ero già ricopiato, a suo tempo, i dati sugli infortuni mortali in itinere:
anno 1997 (1392, in itinere 104, con una percentuale del 7,5%),
anno 1998 (1442, in itinere 104, con una percentuale del 7,2 %),
anno 1999 (1393, in itinere 102, con una percentuale del 7,3 %),
anno 2000 (1401, in itinere 53, con una percentuale del 3,8%),
anno 2001 (1546, in itinere 296, con una percentuale del 19,1 %),
anno 2002 (1478, in itinere 396, con una percentuale del 26,8 %),
anno 2003 (1445, in itinere 358, con una percentuale del 24,8 %),
anno 2004 (1328, in itinere 305, con una percentuale del 23 %),
anno 2005 (1280, in itinere 279, con una percentuale del 21,8 %),
anno 2006 (1341, in itinere 266, con una percentuale del 19,8%).
Mentre per quanto riguarda i dati per l'anno 2007, gli infortuni mortali sono stati 1210 (dati provvisori), e quelli in itinere 296, quindi con una percentuale del 24,5%. Quindi ben lontani dal dato fornito da lei del 50 %.
Inoltre, mi suona nuova la cosa, che le imprese investano 12 miliardi di euro in sicurezza sul lavoro, proprio non la sapevo.
Ritornando agli infortuni mortali in itinere, secondo me è giusto che vengano considerati infortuni mortali sul lavoro, perchè un lavoratore non va a divertirsi ma va a lavoro o torna da lavoro. Sembra quasi che la maggior parte della colpa
degli infortuni mortali sul lavoro sia da reputare alle strade e non alle imprese, ma le cose non stanno proprio così caro direttore Beretta.
Inoltre, morire in un cantiere stradale, quello non è un morto sul lavoro?! Infine, come fa a dire 500 morti sul lavoro all' anno, meno che in Francia e Germania?
Basta aprire il rapporto annuale Inail per l'anno 2007, al seguente link:
http://www.inail.it/repository/ContentManagement/node/N1488850399/RappoAnnuale2007%20OK%20(2).pdf
Andare a pagina 12, e leggere cosa c'è scritto nella tabella "Infortuni mortali avvenuti negli anni 2006-2007 per gestione e tipologia di accadimento: nell'anno 2007, c'è scritto, in occasione di lavoro: 874, e non 500!!!
Nell'attesa di una sua risposta, La saluto.
Marco Bazzoni - Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
13 commenti:
C'è da tremare, sentendo poi che si aggiunge la parola "solo" al numero impressionante di gente che muore in un modo, scusami per il linguaggio, tanto stronzo.
Non solo il lavoro occupa l'ottanta per cento della vita dell'individuo, in più diviene fonte di conclusione della propria esistenza.
Mi chiedo come la nostra società - le persone che costituiscono questa nostra società - non si ribelli alla mercificazione del proprio tempo.
Fantascienza.
@ alicesu: si muore sul lavoro a vantaggio dei profitti aziendali. Mentre il lavoratore è ridotto a variabile dipendente del profitto, perciò merce. Se così è, non viene concessa vita al di fuori del luogo di lavoro.
Io gente come Beretta e Castelli li invidio: mentono sapendo di mentire eppure vivono di un bene con la loro coscienza...
"Ci vuole una grande faccia tosta, per affermare cose del genere."
Purtroppo, ce l'hanno, eccome se ce l'hanno.
Mister X di Comicomix
Io credo che per quanto concerne la sicurezza noi siamo un paese del quarto mondo. Per non parlare delle incompentenze dei responsabili.
il problema più grosso è che per Beretta quelli sono solo numeri... e coi numeri si può anche giocare. L'importante è farlo in quasi totale assenza di contraddittorio.
Anche se fosse solo uno, già sarebbe troppo perchè non si può morire per lavorare...
le imprese sono le uniche al mondo che fanno miliardi facendo beneficenza. Tutti gli altri spendono.
Ciao, un saluto en passant. Tutto ok?
Questa è assolutamente mistificazione della realtà, spero che la gente capisca con chi abbiamo a che fare. Purtroppo forse non se ne renderanno conto...
http://antifeminist.altervista.org/analisimedia/morti_lavoro.htm
Il 93% dei morti sul lavoro sono UOMINI.
http://antifeminist.altervista.org/analisimedia/morti_lavoro.htm
http://antifeminist.altervista.org/risorse/lavori_ripugnanti.htm
@ anonimo: certo, la percentuale è esatta. I motivi sono ovvi. Ma è sbagliato mettere la questione sul piano del rapporto tra i sessi. Le discriminazioni subite in passato e tutt'ora dalle donne, sono un dato di fatto inoppugnabile. E francamente la gara a chi muore di più e nel peggiore dei modi, non mi prende la mia attenzione.
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