martedì 1 gennaio 2008

Un commento sul discorso di fine anno del Presidente Napolitano

Il discorso del Presidente Napolitano? Diciamo che non mi ha colpito. Oltre alle parole, non ho notato la passione ed il coinvolgimento che avrei voluto vedere. Mi è apparsa più una recita di fine anno.
Tanti e diversi sono stati gli argomenti toccati nel discorso: dalla voglia di fiducia nel sistema paese, al dialogo con la Santa Sede; passando per le morti sul lavoro e le missioni all'estero.
Tanti e diversi ma nessuno apporfondito (nel limite del possibile per un tradizionale discorso di fine anno) come avrebbe meritato, alcuni in particolare.
Non vedo personalmente i motivi di grande fiducia che invece ha notato il Presidente della Repubblica, da ciò che avrebbe "visto e potuto intendere lungo tutto il 2007, attraverso un gran numero di visite e di incontri" dai quali si sarebbero notati "segni concreti di dinamismo e di capacità innovativa, prendendo visione di realizzazioni e progetti audaci". Questa sarebbe, secondo Napolitano, la "realtà dell’economia, delle imprese e del lavoro produttivo ; e la realtà di istituzioni indubbiamente vitali".
In verità, la realtà è fatta di imprese che sempre più privilegiano il profitto a scapito della qualità del lavoro, relegando quest'ultimo ad una variabile dipendente della produttività. Ne sono conseguenze dirette, la precarietà del lavoro e della vita. E ne è conseguenza diretta la strage quotidiana sul lavoro. Ed anche il Presidente della Repubblica l'ha definita strage. Ricordando gli operai della ThyssenKrupp, morti a seguito dell'incendio dello scorso 6 dicembre, Napolitano ha parlato di "vittime di una vera e propria inaudita strage". Sui quotidiani omicidi sul lavoro è tutto qui. Nessuna presa di posizione, neanche una parola sulle cause e sui rimedi per porre fine alla mattanza. Neppure una smorfia a dimostrare che il tema delle morti sul lavoro "è stato e rimane un assillo" per il Presidente. Davvero troppo poco!
Mentre è davvero troppo dovere ancora sentire dell'ottima
"collocazione internazionale dell’Italia largamente condivisa" e di come "il nostro maggiore storico alleato apprezzi i contributi e gli sforzi dell’Italia e dell’Europa in un mondo drammaticamente percorso, ancora in questi giorni, dall’aggressività del terrorismo e da una molteplicità di mutamenti e sfide globali e di gravi tensioni". E' davvero troppo continuare a definire quegli impegni umanitari, esercitati secondo Napolitano, "nello spirito della Costituzione repubblicana". Tutto come se l'articolo 11 della Costituzione non esistesse. Come se l'Italia, secondo il dettato costituzionale non ripudiasse la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
E allora, appare quanto meno fuorviante il successivo richiamo al sessantesimo anniversario della Carta Costituzionale di cui "dobbiamo risolutamente ancorarci ai suoi principi".
Certo come il principio di tutela del lavoro, cui il Presidente fa solo un accenno fugace. Così come una frase sola è spesa a favore di un generico principio di pari opportunità tra uomo e donna.

Insomma, per quanto mi riguarda, si poteva e doveva dire di più e meglio. Di più e con più forza sulle morti sul lavoro. Di più e meglio sulle difficoltà quotidiane degli italiani. Meglio si doveva dire o forse tacere, se queste dovevavo essere le parole spese, sulle missioni di guerra in cui è impegnata l'Italia.

E poi, non una parola è stata spesa sulle condizioni dei pensionati, sempre più soli, costretti a vivere con l'unico sostentamento di pensioni da fame. Nè ha meritato menzione il sistema scolastico ed universitario italiano, sempre più umiliati da un politica che non riesce a trovare risposte adeguate. A quella ricerca universitaria a cui costantemente vengono erose risorse a favore di spese per armamenti.

La speranza è che questo 2008 sia migliore delle parole del nostro Presidente.

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