martedì 15 gennaio 2008

ThyssenKrupp: un cinismo che viene da lontano.

Deplorevoli, vergognosi, arroganti, indecenti, scandalosi, cinici. Non so dire quale di questi aggettivi possa meglio descrivere i pensieri espressi dai vertici della ThyssenKrupp, contenuti in documenti sequestrati dalla magistratura nel corso di alcune perquisizioni nelle abitazioni di tre fra i massimi dirigenti della Thyssen Krupp di Torino.
L'analisi contenuta nel documento, scritto in tedesco in modo da renderla non immediatamente leggibile ad eventuali occhi italiani, contiene riferimenti alla politica interna italiana, alla realtà storica della città di Torino ed all'atteggiamento dei sopravvissuti al rogo del 6 dicembre scorso.
Dai documenti sequestrati ai manager Harald Espenhahn, Gerald Priegnitz e Marco Pucci, già iscritti nel registro degli indagati per omicidio e disastro colposo, viene fuori un quadro raccapricciante dell'atteggiamento della multinazionale tedesca.

Su quei documenti si legge che secondo i vertici ThysseKrupp, Prodi ed il suo governo avrebbero speculato sulla morte dei sette operai, con il fine di coprire altre emergenze che avrebbero altrimenti pregiudicato l'immagine dell'esecutivo. L'analisi dettagliata della situazione mediatica italiana, in seguito alla strage avvenuta nello stabilimento torinese, avrebbe consentito ai vertici della ThyssenKrupp, di studiare la migliore strategia di comunicazione da mettere in pratica, magari per glissare sulle proprie responsabilità.
Come si diceva, non mancano riferimenti alla storia recente di Torino, con i suoi movimenti operai ed alla sua "lunga tradizione sindacale di stampo comunista", nè agli anni di piombo. Elementi che secondo gli esponenti dell'acciaieria tedesca, pregiudicavano le condizioni necessarie al mantenimento dell'attività produttiva.

Già queste affermazioni rimandano ad una visione del lavoro propria dei primi capitalisti ottocenteschi, a cui evidentemente i dirigenti della ThysseKrupp sono ancora profondamente legati e dalla quale probabilmente traggono le proprie considerazioni in merito all'organizzazione aziendale. Ma peggiori, dal punto di vista umano, sono le considerazioni che rivolgono a quanti sono riusciti a scampare a quella tragedia, che "passano di televisione in televisione" così da appaire "come degli eroi". Per tale motivo, secondo i dirigenti della ThyssenKrupp, non sarebbe opportuno al momento adottare provvedimenti disciplinari, nei confronti dei dipendenti testimoni della strage del 6 dicembre scorso e delle inadempienze dell'acciaieria, in materia di prevenzione ai fini della sicurezza. Provvedimenti che, dalla lettura dei documenti sequestrati, sembra non possano essere esclusi, quando l'attenzione dei media non sarà più rivolta verso quella tragica vicenda.
E' ovvio lo sconcerto ed il dolore di Antonio Boccuzzi, l'unico sopravvissuto alla strage, che in quella notte ha visto le fiamme uccidere i propri compagni di lavoro in quella maledetta linea 5. "Dopo il danno, la beffa. Nessuno di noi va di in tv in tv, come loro asseriscono, per cercare di diventare un divo; vogliamo solo raccontare cosa non funzionò quella notte e cosa non funzionava in quel periodo. Credo che sia ancora una volta una totale mancanza di sensibilità e di umanità da parte dell'azienda. Non riesco a capire che tipo di provvedimenti possano prendere perchè nessuno ha raccontato cose non vere".
Una mancanza di umanità e di sensibilità, che assume le tinte fosche di un retaggio del passato nazista della multinazionale tedesca. Un passato che ha consentito alla Thyssen di trarre lauti profitti dalla costruzione di cannoni e panzer nazisti. Un passato che racconta anche di una festa in una notte del '45, organizzata dalla primogenita di Heinrich Thyssen, con la presenza di importanti personalità del partito nazista locale, delle SS, della Gestapo e della gioventù hitleriana. Una festa durante la quale, a due ebrei fu tolta la vita a colpi di pistola, per il barbaro e cinico divertimento nazista.
Un cinismo che ancora oggi, per un'altra vicenda, ci troviamo a raccontare.

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