mercoledì 24 settembre 2008

Abdul "Abba" Guibre si meritava una lezione. Oscene parole dalla caverna leghista

Due giorni fa centinaia di persone hanno voluto salutare Abdul "Abba" Guibre, che in una bara raggiungerà il Burkina Faso. La terra che gli ha dato le origini. Anche se la sua terra era l'Italia, dove era cresciuto e dove è stato barbaramente ucciso.
La sua città era Milano. Qui viveva con la sua famiglia, qui aveva i suoi affetti, qui aveva i suoi amici. Qui ha incontrato due uomini che devono avere pensato che un "negro" potesse anche essere ucciso come un animale. Era per loro "uno sporco negro" che forse aveva rubato un pacco di biscotti. Il loro pacco di biscotti del valore di 60 centesimi.

Abba è stato ucciso da una cultura della sicurezza personale, che legittima la difesa della proprietà inviolabile, anche a discapito della vita e della dignità umana. Una difesa perseguita sempre ed a qualunque costo, qualsiasi sia il costo della proprietà. Chi ruba deve pagare. E non solo con il carcere. Non per forza soltanto in forza della legge. Chi ruba anche un pacco di biscotti, deve sapere che le conseguenze possono andare oltre una pena comminata da un tribunale. Chi ruba merita anche altre punizioni. Merita anche una lezione. E se chi ruba ha la pelle scura, merita una lezione da "sporco nergro".
Una cultura questa, perseguita e alimentata senza troppo pudore. Anche dopo un barbaro assassinio come quello di cui è rimasto vittima Adbul. Una cultura tanto diffusa ed accettata che consente al segretario provinciale della Lega Nord Romagna, Piero Fusconi di fare dichiarazioni orribili, indegne del vivere civile senza rischiare nemmeno di dover arrossire dalla vergogna. Fusconi dice, commentando l'assassinio di Abdul, che "gli autori [dell'omicidio] saranno chiamati a rispondere dinanzi al Giudice, una lezione comunque quei tre che alle 4 di mattina, con la prepotenza del numero hanno violato la legge, se la sarebbero meritata". Ma non finisce qui, perchè il leghista continua definendo quanto avvenuto uno "spiacevole inconveniente" del quale chi come Abdul si sarebbe posto fuori dalla legge "non ha diritto di lamentarsi".

Come commentare queste indecenti parole? Si potrebbe farlo da un punto di vista politico e dire che sono proprio frasi come quelle, tipiche dell'uomo della caverna, ad alimentare un clima d'odio che già è pericolosamente diffuso. Si potrebbe rispondere che dal punto di vista giuridico (forse) si potrebbe prefigurare il reato di istigazione alla violenza. Sarebbe ovviamente giusto sentire voci di profondissimo sdegno, da parte del mondo politico (tutto) dal quale quell'uomo (?) ha pronunciato certe nefandezze. Si può anche certamente rimanere senza parole di fronte a tanta oscenità.
Per quanto mi riguarda, mi sento di dare un consiglio a chi, non avendo pienamente percorso la strada evolutiva che ha portato fino all'homo sapiens, ritiene che chi ruba un pacco di biscotti meriti di essere ucciso dalla rabbia xenofoba di un paio di trogloditi: non esagerate con frasi del genere, perchè se la società tutta dovesse accettare una simile idea di giustizia, per chi pronuncia parole come quelle di Fusconi la "meritata lezione" sarebbe come minimo il taglio della lingua. E non si sarebbe valutato che la lingua semplicemente permette di pronunciare quello che il cervello comanda di dire.

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martedì 23 settembre 2008

Prolusione o pro(IL)lusione?

Più che una prolusione, quella che il presidente della CEI, monsignor Angelo Bagnasco ha tenuto davanti al Consiglio Permanente della CEI, appare una proillusione. Almeno per quanto riguarda il tema del testamento biologico.
In apparente contraddizione con le affermazioni di qualche tempo fa di monsignor Betori, che affermava l'inutilità di una legge che regolasse il testamento biologico, Bagnasco ha detto invece che su questa materia una legge sarebbe utile. A patto - diciamo così - di una necessaria condizione e cioè che la normativa sia in linea con le attese dei vescovi.
Non mi stupisce questa apparente nuova posizione della chiesa. Nel maggio dello scorso anno, mons. Betori affermava:
"Come vescovi italiani non riteniamo necessaria una legislazione specifica sul Testamento Biologico. La legislazione attuale infatti e' capace di garantire un dialogo tra medico e paziente in merito a queste tematiche. Con una legge ad hoc potrebbe esserci invece il rischio di uno scivolamento verso esiti di tipo eutanasico"

Oggi, il presidente della CEI, Angelo Bagnasco auspica
una legge sul fine vita che [...] dia tutte le garanzie sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza.
Quel che in ultima istanza chiede ogni coscienza illuminata, [...] è che [...] non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia.

Come si vede gli "auspici" clericali sono rimasti assolutamente quelli di sempre. Quelli che erano affermati nelle parole di Betori (che a nome della CEI contrastava l'idea di una legge sul testamento biologico), sono identici a quelli pronunciati ora da Bagnasco. Con la pericolosa differenza che oggi i vescovi italiani appaiono di fronte all'opinione pubblica, aperti al confronto con coscienze diverse da quelle da loro espresse.
Ma probabilmente il motivo di questa "apertura" è ancora più pragmatica e lo si legge ancora nelle parole pronunciate da Bagnasco, quando esprime un timore per espressioni della giurisprudenza (in riferimento al caso Englaro)
che avevano inopinatamente aperto la strada all’interruzione legalizzata del nutrimento vitale.

Quindi, meglio una legge subordinata alla volontà ecclesiastica, che affidarsi di volta in volta ai giudizi dei tribunali, con il rischio che questi si esprimano secondo criteri di laicità.
Ma una legge sul testamento biologico emanata nel senso affermato da Bagnasco, sarebbe una legge che non permetterebbe, nella pratica, di testamentare le reali volontà del paziente. Le possibilità per coloro che vorrebbero fare testamento biologico sarebbero tanto limitate, da impedire per legge l'autodeterminazione di ogni individuo.
Questo è l'altro punto essenziale del discorso del presidente della CEI: affermare nuovamente ed in un contesto di apparente apertura alle istanze laiche, che la vita non appartiene alle persone in carne, ossa e mente. Si ripropone di nuovo il dogma (che si vorrebbe universalmente accettato) che la vita appartiene a Dio e perciò rimane per noi indisponibile. Ed a questo principio si vorrebbe che fosse subordinata l'auspicata legge.
Nonostante la (pro)illusione che si è tentata di fare passare con il discorso di mosignor Bagnasco tenuta al Consiglio Permanente della CEI, l'ipotesi dentro la quale si muovono le gerarchie cattoliche è sempre la stessa: il controllo dei corpi, come mezzo attraverso il quale veicolare le coscienze.

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